La tensione per il conflitto in Medio Oriente spinge la Puma, nota azienda tedesca di abbigliamento sportivo, a interrompere la sponsorizzazione della squadra nazionale di calcio israeliana. Secondo il quotidiano britannico Financial Times la decisione è stata presa un anno fa e non è legata alle proteste di alcuni gruppi di attivisti che chiedono di boicottare i prodotti dell’azienda tedesca a causa dell’operazione militare israeliana nella Striscia di Gaza. «Dal 2024, la terza azienda di abbigliamento sportivo al mondo non fornirà più attrezzature alla nazionale dopo aver deciso di non rinnovare il contratto con la Federcalcio israeliana», rivela il quotidiano che cita un documento interno della società.
La partnership tra Puma e la nazionale israeliana, siglata nel 2018, aveva già provocato una campagna di boicottaggio contro l’azienda, accusata di sostenere gli insediamenti israeliani in Cisgiordania.
CRITERI DI SELEZIONE
«La decisione di Puma di interrompere la sponsorizzazione della nazionale di calcio israeliana è stata presa per ragioni finanziarie. Fa parte di una più ampia strategia nota come “meno è, meglio è” secondo cui la società sarà più selettiva nel marketing sportivo. Nell’ambito della nuova strategia, l’azienda interromperà anche la collaborazione con squadre di altri Paesi per motivi finanziari. In realtà, si è poi saputo che in realtà il contratto tra le parti è stato recentemente prorogato fino al 31.12.24 e solo allora terminerà. Alcuni in azienda sostengono che «non c'è alcun collegamento con la guerra», ma piuttosto una decisione da parte di Puma di spostarsi e rappresentare solo grandi squadre.
Allo stesso tempo, va notato che Puma veste il Maccabi Tel Aviv di basket in virtù di un contratto in scadenza fra due anni. Puma ha rifiutato di commentare ufficialmente l'articolo e le fonti hanno notato che, nonostante gli appelli al boicottaggio di Israele, dal 2018 (data dell'accordo iniziale con l'Ifa), le sue vendite sono aumentate e nel 2022 sono quasi raddoppiate rispetto al 2018, fino a raggiungere a 8 miliardi di euro.
A festeggiare è stata l’organizzazione Bds, che coordina il boicottaggio contro Israele, e che si è vantata: «Grazie al Bds, Puma è stata costretta a rescindere il suo contratto di sponsorizzazione con la Federcalcio israeliana. Puma è stata un bersaglio della campagna globale BdS da quando ha iniziato a sostenere l'apartheid israeliano nel 2018, che opprime milioni di palestinesi». «È anche una lezione per la Fifa, dominata dall’Occidente, che continua a difendere Israele dalle sue responsabilità nonostante i gruppi di coloni violino le sue leggi».
Qualcuno sta ora ricordando che la Puma fu fondata dai due fratelli Rudolf e Adolf Dassler. Entrambi aderirono al nazismo, ma poi Adolf iniziò a prenderne le distanze, al punto che quando Rudolf fu arrestato dagli Alleati con Waffen Ss accusò il fratello di averlo denunciato.
A Gerusalemme, oltre a sostenere l’impatto sociale ed economico della mancanza di sponsor, devono far fronte anche alla ben più rilevante contrarietà del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a una nuova occupazione della Striscia da parte dello stato ebraico. «Questo è il governo più conservatore nella storia di Israele», ha sottolineato Biden, richiamando il premier israeliano Benjamin Netanyahu alla necessità di una «decisione difficile da prendere», ossia, «rafforzare e cambiare» il suo esecutivo per trovare una soluzione a lungo termine al conflitto israelo-palestinese. Il riferimento è ai partiti ebraici ortodossi che sostengono i coloni.
NO A UN’ALTRA OSLO
Lo stesso Netanyahu, tuttavia, ha ribadito per l'ennesima volta che la sua posizione non cambia e «Gaza non sarà un Hamastan e nemmeno un Fatahstan», ha spiegato, chiudendo a ogni ipotesi di un futuro controllo della Striscia da parte dell'Autorità nazionale palestinese. Fino ad avvertire che non permetterà «che Israele ripeta l'errore di Oslo» , cioè gli accordi del 1993 tra Rabin e Arafat da cui nacque un primo embrione di autogoverno palestinese. Ieri l’assemblea generale all'Onu, riunita su richiesta di un gruppo di Paesi arabi, ha discusso una risoluzione non vincolante che chiede un «immediato cessate il fuoco umanitario». Il testo, sulla falsa riga di quello approdato venerdì scorso in Consiglio di sicurezza - e respinto a causa del veto Usa che mira a rafforzare la pressione su Israele e gli americani. In favore si sono espressi 153 Paesi. Dieci i contrari, tra i quali Israele e Stati Uniti, e 23 gli astenuti. Nel testo si chiede un rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi israeliani detenuti da Hamas a Gaza. Tra i Paesi astenuti figurano sia il Regno Unito sia l'Italia sia la Germania. Favorevoli invece Spagna, Francia e Belgio. Con loro hanno votato Cina, Russia, Giappone e Brasile.