Sentire cosa propongono i palestinesi Ecco come si fa informazione corretta
Testata: La Stampa Data: 22 giugno 2003 Pagina: 8 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Pronto ad arrestare gli uomini del terrore»
Ambiguità e propositi verso un futuro diverso in una intervista di grande valore. GERUSALEMME UN foro in un pneumatico a Betlemme non è grave: nella grande strada che porta dalla Tomba di Rachele fino al campo profughi di Deheishe, poco lontano dal centro, la vita sembra essere tornata, nei negozi si avvicendano i compratori, i ristoranti emanano profumo di pollo alla brace, due ragazzi aggiustano di corsa la gomma. C’è un’aria di cambiamento: in queste ore Hamas discute se accettare la tregua che Colin Powell esige, e anche se entrare nel governo, come Abu Mazen propone. Hamas dovrà fermare gli attentati terroristici, con le buone o con le cattive. L’Autonomia palestinese deve prendere in mano il controllo della situazione innanzitutto a Gaza e a Betlemme. Che ne pensano i gommisti, Hassan e Awad? «Che combatteremo con le armi in pugno anche contro la nostra polizia se tenteranno di arrestare qualcuno di Hamas». Ma poco lontano siede un alto ufficiale che chiama terrorismo il terrorismo, e che per la prima volta, in questa intervista esclusiva, parla dei piani dell’Autonomia palestinese per combatterlo: ci incontra in un ufficio situato dentro un palazzotto con archi e fontana per ora vuota d’acqua. E’ il comandante della Sicurezza preventiva, cui fanno capo anche il Mukhabarat, i servizi segreti, e tutti gli apparati cui sta per essere affidato il compito di fermare il terrorismo: è Majdi Atari Abu Jihad, 36 anni, camicia sul verde cangiante in giallo, corpulento. Nonostante lo scetticismo degli israeliani, che pensano che i palestinesi non abbiano nessuna intenzione di fronteggiare Hamas, Abu Jihad ci fornisce un’immagine di determinazione che se sincera potrebbe aiutare la Road Map. Non somiglia ai numerosi ufficiali che, mentre lo aspettiamo, ci spiegano che Israele è l’unico responsabile della violenza e tale resterà. Abu Jihad ci tiene a esprimere un altro concetto: siamo forti e agiremo. Ma come? E quando? «Innanzitutto deve giungere l’ordine dal governo. Per ora abbiamo quello di tenerci pronti per il momento in cui gli israeliani, secondo quanto stabilito nelle ultime riunioni, si ritireranno completamente sia da Betlemme sia da Gaza. Dal momento in cui usciranno, la responsabilità della sicurezza sarà tutta nelle nostre mani». Quando può accadere? «In mancanza di eventi drammatici, credo che la richiesta sia di farlo entro la prossima settimana». Quando l’esercito israeliano si ritirerà intendete prendere possesso dei posti di blocco e controllare al posto dei soldati israeliani le persone che entrano dentro la linea verde? «Naturalmente. Questo è già accaduto nel ’94, quindi abbiamo già un’esperienza precedente che ci guida. Noi verificheremo tutto ciò che è relativo alla sicurezza dei palestinesi prima di tutto, e di chiunque sia messo in pericolo da violazioni della legge». Ovvero perquisirà i presunti terroristi per cercare eventuali armi o esplosivi. Lei si rende conto che la gente vi identificherà con i vecchi controllori, con gli oppressori... «Noi saremo certamente molto diversi: ci atterremo strettamente al problema della sicurezza, col vantaggio di un ottimo retroterra di informazioni e quindi con la capacità di agire più rapidamente. E comunque questi sono gli ordini, e la gente capirà presto che è nel suo interesse, nell’interesse della pace di tutti, collaborare, non cercare scontri, non cercare contrasti. Il nostro primo compito è quello di stabilire una situazione di sicurezza per i palestinesi stessi, non solo per gli israeliani, e questo la gente lo capirà bene». Come pensate di agire? «Una volta che gli israeliani non siano più sul campo, avremo a nostra volta la possibilità di agire con molta libertà; e creda che abbiamo molta competenza all’interno del nostro orizzonte. Agiremo soprattutto, o almeno questa è la mia intenzione, con operazioni di carattere preventivo, non dubito che l’esperienza del luogo ci servirà moltissimo». Si faccia capire meglio: innanzitutto per lei un attacco terroristico in preparazione è un crimine contro la legge palestinese? «Se si riesce a provarlo, senza ombra di dubbio». Lei è pronto a combattere il terrorismo? «Assolutamente. Sono pronto in ogni momento». Per esempio, se lei venisse informato che in un campo profughi è in preparazione un attentato da parte di Hamas, lei non esiterebbe a entrare con i suoi uomini e a catturare i presunti colpevoli? «Esattamente. Dal momento in cui gli isrealiani se ne andranno, noi agiremo con decisione. Mi lasci aggiungere che anche Hamas sa benissimo che qui da noi deve esserci una sola autorità, che non ci sono vari Stati, ma uno solo. E che gli ordini vengono da una parte sola. L’Autorità palestinese deve essere forte, e per essere forte deve stroncare senza esitazione ogni attività illegale». A proposito di questo, lei sa bene che Colin Powell ha detto che anche le strutture di Hamas, le scuole dove si insegna a odiare gli ebrei e gli americani, le organizzazioni caritatevoli in cui si predica il terrorismo suicida, le raccolte di fondi, tutto questo ha al fondo un carattere terrorista. Lei intende agire sulle infrastrutture? «Agire sulle infrastrutture? Al momento non ne vedo una ragione. Sarebbe una prevaricazione contro un’organizazione politica, e non mi compete». Comandante, lei sa bene che c’è una grande confusione fra il livello politico e il livello operativo. Addirittura il venerdì nelle moschee si predica senza mezzi termini il dovere di «uccidere gli ebrei e gli americani». Come agirà se in una moschea si predicherà il crimine? «Se ci saranno gli estremi, faremo arresti sensa esitazione e i colpevoli satranno sottoposti a processo». La vedo sorprendentemente determinata, mentre i suoi capi non lo sono affatto. Arafat e Abu Mazen in questo momento cercano addirittura di tirare Hamas dentro il governo. «I nostri capi politici fanno il loro lavoro cercando di perseguire un accordo, appunto, politico. Io rispetto la loro specifica determinazione. Ma per me la questione è tutta diversa: io ho degli ordini che dicono "dal momento che gli israeliani usciranno, chiunque violi la legalità, arrestalo". Non mi fermerò davanti a nulla». Lei ha partecipato a riunioni con la controparte, con gli israeliani? «Sì, e continuano, c’è molto lavoro da fare». Ci saranno ronde comuni, come al tempo dell’accordo di Oslo? «Non ne abbiamo ancora parlato». Lei partecipa a riunioni con Hamas? «Ne ho avuta una anche oggi». E che cosa le sembra? Non danno forse l’impressione di dire che alla fin fine sono più forti loro di voi di Al Fatah, e che se provate a toccarli solleveranno la popolazione contro Abu Mazen e Arafat? «La situazione a Gaza è differente da quella di Betlemme. Qui Hamas e le altre organizzazioni più dure rappresentano una minoranza agguerrita che deve venire a un compromesso con l’attuale linea politica. E non dimentichi che anche Hamas risponde a ordini, e se i suoi capi intimeranno il cessate-il-fuoco, cessate-il-fuoco sarà». Non penserà che Hamas possa accettare la Road Map. «Prima ancora che con la Road Map, deve confrontarsi con il superamento di quella che è stata da sempre la sua convinzione di fondo, ovvero che gli israeliani devono sparire da qui. Questo non accadrà. La linea attuale è questa: uno Stato accanto all’altro. Questa è l’idea di fondo, a questa devono limitarsi, devono esprimere un’opposizione accettabile. Altrimenti, noi li perseguiremo». Lei ha visto le immagini dei soldati israeliani che si scontrano con i coloni, vero? Avrà pensato che da voi può essere molto peggio. Ha paura? «Certo che no. Ci ho pensato bene, speriamo di evitarlo, ma faremo tutto quello che si deve fare». E’ abbastanza forte? «Sì, gli uomini sono molti e ben addestrati, le strutture di informazione molto ben preparate, e con grande esperienza. Hamas e la Jihad non sono il nostro pensiero dominante, noi ci chiediamo solo come far rispettare la legge». Abu Jihad, sinceramente non capita sovente di trovare tanta sicurezza di sè. «Ho una forte fiducia nella nostra capacità, nella nostra tecnica». E in Abu Mazen? Vedo che ha solo il ritratto di Arafat nella sua stanza, anzi due. Perché? «Perché sono con me da tanto tempo». Lei crede nella pace? «Fino in fondo». Nella lotta al terrorismo? «Fino in fondo».
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