Riprendiamo da LIBERO di oggi, 23/11/2023, a pag.18 con il titolo "Famiglie degli ostaggi e palestinesi in Vaticano", il commento di Fausto Carioti.
Papa Bergoglio
Non è andato bene il doppio incontro del papa che si è svolto ieri mattina, prima con i familiari di alcuni degli israeliani rapiti da Hamas e poi con una delegazione di palestinesi provenienti da Gaza. Ambedue i colloqui, assieme alle parole che il pontefice ha pronunciato al termine dell’udienza generale, hanno creato polemiche e l’accusa a Francesco di sostenere l’equivalenza morale tra lo Stato di Israele ed i terroristi autori della strage del 7 ottobre. Tirando le somme, Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, sostiene che «il papa mette tutti sullo stesso piano di partenza e di arrivo. Ma la partenza è il terrore che esegue il disegno di sterminio degli ebrei nel mondo intero, mentre la guerra è necessaria alla difesa di Israele e della sua popolazione». Una critica esplicita a Jorge Mario Bergoglio nella quale si riconoscono anche alcuni dai parenti dei rapiti che ieri si sono recati in Vaticano. Le premesse non erano delle migliori. Un gruppo di familiari degli israeliani catturati da Hamas era a Roma anche il mese scorso: incontrarono Sergio Mattarella, Giorgia Meloni, Matteo Salvini, alcuni ministri ed i presidenti di Camera e Senato, ma non il papa, come invece speravano. Il motivo, a sentire gli spifferi che soffiano da Oltretevere, è che Bergoglio, anche per potersi proporre come mediatore credibile, desiderava ricevere lo stesso giorno israeliani e palestinesi, per non dare l’impressione di schierarsi con i primi dimenticando i secondi.
IL RACCONTO DEI PARENTI Così alle 7.30 di ieri, nella residenza vaticana di Santa Marta, sono entrati dodici israeliani per partecipare ad un’udienza privata col papa. Che mezz’ora dopo, nell’auletta dedicata a Paolo VI, ha ricevuto dieci palestinesi, accompagnati da padre Gabriel Romanelli, parroco dell’unica chiesa cattolica di Gaza. Usciti dal Vaticano, gli israeliani hanno raccontato del colloquio ai giornalisti, spiegando che non è stato come se lo aspettavano loro. Tutti, anche quelli che hanno apprezzato l’impegno del pontefice, hanno rimarcato quanto breve sia stato il tempo che lui ha dedicato a loro. Erano in venti, solo dodici hanno potuto partecipare all’incontro, durato appena una ventina di minuti, e solo sette o otto sono riusciti a prendere la parola. Il più deluso è Yehuda Cohen, il cui figlio di 19 anni è stato rapito dai terroristi di Hamas insieme agli amici. Yehuda è uno di quelli che non è potuto entrare, ma dal pontefice c’era sua figlia. «In sostanza», racconta, «il papa ci ha detto “finite questa guerra, io non ho tempo per voi”. Non ha nominato Hamas e non l’ha definita come organizzazione terroristica e questo mi è dispiaciuto». Non tutti esprimono un giudizio negativo. Alexandra Ariev, sorella della 19enne Karina, rapita da Hamas assieme alle amiche (altre ragazze del loro gruppo sono state ammazzate), comprende che «il tempo del papa è prezioso» e lo ringrazia comunque per averli ricevuti, convinta che il Vaticano si stia dando da fare per aiutarli. La speranza di molti di loro è che l’autorità morale di Bergoglio, «la cui voce è molto rispettata nel mondo islamico e in quello ebraico», contribuisca a rendere possibile la restituzione di tutti gli ostaggi. Il giudizio dei parenti dei rapiti è comunque duro nei confronti della Croce Rossa, accusata di non aver fatto nulla per accertarsi delle condizioni dei 240 israeliani tenuti prigionieri a Gaza, alcuni dei quali hanno bisogno di cure mediche costanti. Dal 7 ottobre nessuno dei familiari dei prigionieri di Hamas ha notizie di loro, né sa se sono ancora in vita.
LE CRITICHE DI DI SEGNI Non tutti sono usciti dal colloquio con la sensazione che il papa abbia messo Hamas e Israele sullo stesso piano, ma tutti condannano l’equivalenza tra Israele e Hamas. Ossia quella che sembra trasparire dalle parole dette dal pontefice dopo i due incontri, al termine dell’udienza generale: «Qui siamo andati oltre le guerre. Questa non è guerra, questo è terrorismo». Frase che è facile interpretare come un’accusa a Israele di usare gli stessi metodi di Hamas, e che spinge Noemi Di Segni a replicare a Bergoglio. «Avrei preferito ascoltare dal papa una chiara presa di condanna del terrorismo del 7 ottobre e di tutto il percorso che porta a uno sterminio», dice la presidente dell’Ucei. Non passa inascoltata nemmeno un’altra frase, pronunciata da Francesco durante i saluti ai fedeli di lingua italiana: «Ho ricevuto due delegazioni, una di israeliani che hanno parenti con ostaggi a Gaza e un’altra di palestinesi che hanno dei parenti prigionieri in Israele». Come se le due categorie di prigionieri fossero speculari. Ma imprigionati a Gaza ci sono civili innocenti, ragazzi che ballavano e donne che sono state stuprate e rapite, mentre i palestinesi detenuti nelle carceri israeliane sono soprattutto terroristi che hanno ucciso ebrei, o hanno tentato di ammazzarli. Nemmeno l’incontro con la delegazione di Gaza è andato nel modo giusto. Al termine i palestinesi, entusiasti del colloquio, hanno detto che «il papa ha riconosciuto che viviamo un genocidio», che significherebbe accusare Israele di usare metodi nazisti. Il portavoce vaticano è subito accorso a smentire: «Non mi risulta che abbia usato tale parola». I palestinesi sono invece sicuri che il termine usato da Bergoglio fosse proprio quello: «Siamo in dieci e lo abbiamo sentito tutti». Deve intervenire il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, per spiegare che è irrealistico che il pontefice si sia espresso in quel modo: «Non ho ricevuto informazioni dirette sul dialogo del Santo Padre, ma “genocidio” è un termine molto tecnico, che si applica a determinate situazioni. Non so se in questa situazione si possa parlare di genocidio».
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