Israele e la critica a senso unico Commento di Elena Loewenthal
Testata: La Stampa Data: 19 novembre 2023 Pagina: 27 Autore: Elena Loewenthal Titolo: «Israele e la critica a senso unico»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/11/2023, a pag.27, con il titolo "Israele e la critica a senso unico" il commento di Elena Loewenthal.
Elena Loewenthal
La critica all'operato d'Israele è cosa più che legittima. È, anzi, doverosa e naturale, come dimostra l'ultimo appello degli intellettuali ebrei americani e israeliani dove si puntualizza che dissentire non significa automaticamente essere antisemiti. Ovvio che non è così. Ma non meno ovvio che esiste un confine nitido e preciso fra il giudizio anche severo, indignato e rabbioso per quello che lo Stato ebraico fa o non fa, e la deplorazione per quello che è – o meglio per il fatto di esistere. L'idea, insomma, che Israele sia colpevole a prescindere: un'intrusione aliena nello scenario geopolitico della regione, un'entità superflua e dannosa in sé e per sé, che se non ci fosse sarebbe meglio per tutti – dal mare al fiume. Negare a Israele il legittimo diritto di esistenza e il suo vissuto storico o ancor prima nutrire la convinzione che sarebbe meglio per tutti se non esistesse, questo è antisemitismo. Entro i suoi confini stabiliti Israele ha tutto il diritto – e il dovere – di esistere e non essere messo in discussione come stato, società, nazione. Sta tutta qui la differenza fra il pregiudizio e la lucidità, fra la comodità del vedere le cose tutte soltanto in bianco e nero – buoni e cattivi tutti da una parte o dall'altra, senza eccezioni di sorta – e l'esercizio dello spirito critico, di quella libertà di espressione di cui l'appello degli intellettuali ebrei americani e israeliani è perfetta manifestazione. Non ultima di certo. Perché la vera forza d'Israele non sta tanto e soltanto in un esercito potente, tecnologicamente avanzato e fatto di uomini e donne motivati, quanto nel suo inguaribile pluralismo. Come dice la vecchia storiella, la prima cosa che un ebreo fa quando naufraga su un'isola deserta è costruirsi due sinagoghe: una da frequentare e l'altra dove non metterebbe piede manco morto. Per dirla in altre parole: dove ci sono due ebrei ci sono almeno tre opinioni diverse. La dialettica, il confronto con chi la pensa e si comporta in modo diverso, sono parte essenziale e fondativa d'Israele non meno dell'esercito, del sistema sanitario, delle case di preghiera e tanto altro. Fino a una settimana prima di quel maledetto sette ottobre centinaia di migliaia di israeliani manifestavano ogni sabato sera contro il governo e quella sua riforma giudiziaria arrestata non solo dalla guerra ma anche dalla protesta. E il dissenso, la critica pesante a un governo che tosto o tardi ma ci si augura prima possibile dovrà andarsene a casa – passando magari per le aule di un tribunale – tutto ciò si è fatto sempre sentire, in Israele. Anche in questi giorni di terrore e di guerra in cui, come sempre è capitato nel paese, l'emergenza crea una fortissima, necessaria coesione. Come sempre, in Israele si sentono tante voci diverse, si fa critica e autocritica, si ragiona e ci si indigna con la consapevolezza che non tutti la pensano nello stesso modo e meno male che è così. Purtroppo sul fronte opposto, quello arabo palestinese, che speriamo diventi presto un fronte "accanto", si sente una voce quasi sempre monocorde, senza divergenze d'opinione. Come se tutti fossero sempre d'accordo con tutti: un'assenza di dibattito interno che è un solco in più in un conflitto già fin troppo tormentoso.
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