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La Stampa Rassegna Stampa
14.06.2003 Due posizioni a confronto
ed è informazione corretta

Testata: La Stampa
Data: 14 giugno 2003
Pagina: 6
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Israele e Palestina»
Ecco un esempio di informazione equilibrata. Ce la fornisce La Stampa con le due interviste di Fiamma Nirenstein, la prima al portavoce di Sharon,l'ambasciatore Avi Pazner. La seconda a Nabil Amer, ministro dell'informazione dell'ANP.
Ecco l'intervista ad Avi Pazner:

AVI PAZNER, PORTAVOCE DEL PREMIER DI GERUSALEMME, E NABIL AMER, MINISTRO DELL’INFORMAZIONE DELL’ANP

«La risposta di Israele è no
Contro il terrore sono inutili»

GERUSALEMME
AVI Pazner,portavoce di Ariel Sharon, ex ambasciatore in Italia e in Francia, passa difficili giornate nella Gerusalemme di queste ore di lutto, ma non si sente affatto immobilizzato. Il suo governo spera ancora nella Road Map, è pronto a sgomberare gli insediamenti promessi, dice, ma non a cessare la guerra a Hamas, e la proposta di Kofi Annan gli puzza di bruciato.
Perché? Non vi converrebbe accettare qualcuno incaricato dal consesso internazionale di testimoniare ed evitare il pericolo in cui vive qui la gente?
«Un monitoraggio è già previsto dalla Road Map. Altra cosa è una forza di interposizione militare. E a questa ho non una, ma molte obiezioni: prima di tutto, mi lasci essere crudamente realista. Una forza fra noi e i palestinesi sarebbe sottoposta a un pericolo mortale. Diventerebbe il nuovo obiettivo-simbolo del terrore: ricordi gli americani e i francesi in Libano nell’82. Ben presto divennero proprio loro l’obiettivo dei terroristi suicidi, e ci furono fra loro centinaia di morti. Inoltre, per il carattere popolare del terrorismo attuale, per come si nasconde fra la gente palestinese e la usa come scudo, questa forza per essere funzionale dovrebbe essere onnipresente, dovrebbe contare migliaia e migliaia di soldati per controllare tutti i territori. Le sembra realistico?».
Sinceramente, le sue risposte sono storicamente scontate: siete sempre stati contrari a ogni intervento esterno. Non è tempo di maggiore elasticità?
«Al contrario dei palestinesi, che in realtà sperano sempre che la presenza straniera, in particolare quella dell’Onu, porti loro vantaggi politici, noi pensiamo che le parti debbano cercare l’accordo guardandosi in faccia. E inoltre, siamo chiari, le sembra che una forza di interposizione possa fermare i terroristi? In che modo? In realtà sarebbe a senso unico: noi ne verremmo paralizzati, incapacitati a difenderci; i terroristi passerebbero da ogni buco dentro Israele, come prima, e anzi sarebbero più liberi di colpirci».
Lei quindi pensa che la guerra al terrore ve la dovete fare da soli. Lo farete proseguendo nella politica delle eliminazioni?
«Non ho nessuna preferenza per questa politica, e mi creda che è una "extrema ratio" applicata quando si capisce che se non si ferma quella mano essa colpirà di nuovo decine di innocenti. Siamo obbligati a proseguire la nostra guerra al terrorismo per salvare la popolazione, è nostro dovere. Finché Abu Mazen non agirà in prima persona, come chiede la Road Map».
Il mondo dice che questo modo di ragionare invece di dare a Abu Mazen la possibilità di agire crea un ciclo della violenza in cui i perdenti sono le popolazioni civili.
«Non esiste nessun ciclo della violenza: Abu Mazen ad Aqaba ha comunicato che sarebbe riuscito a giungere a un cessate-il-fuoco senza colpo ferire. Subito Rantisi ha detto che avrebbe proseguito con la sua guerra contro tutti gli ebrei: evidentemente non aveva nessun motivo di temere Abu Mazen, lo considera un debole. E ha cominciato ad agire: prima quattro soldati uccisi, poi ancora uno, poi la coppia a Gerusalemme, stasera altri morti... Quindi ha dichiarato l’offensiva generale. Adesso Hamas minaccia addirittura direttamente donne e bambini: cosa dovremmo fare, cosa dovevamo fare, lasciare che Rantisi e Yassin seguitino a mandare in giro i terroristi?»
Eppure da quando avete attaccato Rantisi sembra che Arafat stia prendendo il sopravvento.
«Arafat è complice degli attentati, vuole togliersi di torno Abu Mazen e proseguire con la sua vecchia strategia. Abu Mazen invece è credibile, ma deve decidersi a dire ai suoi avversari di Hamas e delle altre formazioni che agirà anche con la forza, altrimenti non ce la potrà mai fare. Deve almeno dire che colpirà i terroristi. Anche se non lo fa, almeno lo dica».





Segue l'intervista a Nabil Amer.
«In Palestina sono benvenuti
nello spirito della Road Map»

GERUSALEMME
NABIL Amer, ministro dell’Informazione nell’Autonomia palestinese, è un uomo gioviale e speranzoso. In acque tormentate ai tempi di Arafat, è oggi parte del governo di Abu Mazen, che lo tiene in grande considerazione.
Che ne dice, ministro, della proposta di Kofi Annan? Le pare che potrebbe aiutare a risolvere questa interminabile tragedia?
«Lei sa che la nostra parte è sempre molto favorevole al monitoraggio e all’intervento di una terza parte nel conflitto: ci sembra che fornirebbe una garanzia, e l’abbiamo sempre richiesta. Quindi, certamente l’idea del Segretario dell’Onu è pregevole».
Tuttavia la vedo piuttosto cauto.
«Non è cautela, è soltanto che l’idea di una terza parte è già chiaramente compresa nella Road Map, fa parte di ciò che noi abbiamo accettato in pieno e anche gli israeliani hanno accettato per procedere sulla via della pace. Quindi, la forza di interposizione in certo senso è già nelle cose, si può chiamarla come si vuole; e bene sarà se questa terza parte che deve monitorare ed evitare la violenza sarà guidata dall’Onu. Perché l’Onu fa parte del Quartetto che ha elaborato il piano».
Kofi Annan dice che i 51 americani di John Wolf addetti al monitoraggio sono di gran lunga insufficenti per un’operazione complicata come dividere due parti così aggressive, e quindi ci vuole una vera forza militare.
«Poichè l’ha detto, deve esistere su questo un accordo all’interno del Quartetto, e anche Colin Powell ne è probabilmente consapevole. Noi, ripeto, per quello che ci riguarda guardiamo favorevolmente a un intervento esterno».
Gli israeliani hanno già commentato sfavorevolmente la presenza di una forza d’interposizione.
«Gli israeliani sono sempre stati contrari a una presenza internazionale, ed è un peccato».
Il loro argomento principale è molto semplice: un’interposizione internazionale può monitorare e impedire i movimenti di un esercito, non di un terrorista che sta salendo su un autobus carico di tritolo.
«Vede, le obiezioni sono sempre possibili per qualsiasi paragrafo della Road Map. Ognuna delle due parti può dire quello che vuole su questo o quel punto: resta il fatto che per riprendere la strada perduta dobbiamo fare uno sforzo e accettare il documento che ci viene proposto, con tutte le sue implicazioni».
Lei crede, nonostante la politica di eliminazione dei capi di Hamas e gli attentati, che la Road Map sia ancora in vita?
«L’operazione di Sharon contro Rantisi è stata stupida. Ma vedo che anche in Israele le eliminazioni trovano fortissima critica, la maggioranza le giudica sbagliate, credo che non abbiano lunga vita e devono finire».
E gli attentati? Lei è d’accordo con l’analisi di chi pensa che tra i palestinesi la linea dura stia conquistando simpatie per Hamas e alienandone per Abu Mazen?
«E’ vero soltanto nel breve termine».
Quanto breve?
«Qualche giorno. Poi Abu Mazen potrà riprendere la sua strada, perché da noi esiste anche un’opinione pubblica che desidera la pace».
Ma se Abu Mazen non ferma i terroristi con la forza, essi seguiteranno a trascinare il popolo palestinese nella tragedia.
«Guardi, Abu Mazen sta facendo una trattativa complessa e delicata che secondo me porterà abbastanza rapidamente a buon fine».
Non crede che dovrebbe essere proprio Abu Mazen a fermare almeno qualche terrorista, così da dare un segnale della sua forza?
«Abu Mazen agirà con la forza della politica, e ce la farà».
Santo cielo, ministro, lei è ottimista.
«Sì, la Road Map riprenderà la sua strada presto».



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