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Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 14/11/2023, a pag. 1, con il titolo 'L’offensiva di Biden per liberare gli ostaggi. Il costo politico dell’abbraccio a Bibi', l'analisi di Paola Peduzzi. Paola Peduzzi Alcuni degli ostaggi Milano. Brett McGurk, il consigliere per il medio oriente e il nord Africa del presidente americano Joe Biden, è in arrivo in Israele, poi andrà in Qatar, in Giordania e in Arabia Saudita. L’obiettivo della sua visita è la liberazione degli ostaggi catturati da Hamas il 7 ottobre: sono più di 240 persone, il gruppo terroristico palestinese non ha ancora fornito una lista dei nomi e per “ragioni umanitarie” ne ha liberate quattro. La visita di McGurk, un diplomatico che ha lavorato in tutti i governi americani di questo secolo e che nel 2016 negoziò la liberazione di quattro cittadini americani prigionieri in Iran, è l’ultimo tentativo in ordine di tempo per costruire una strategia condivisa per il rilascio dei prigionieri, mentre continuano le pressioni umanitarie sul governo israeliano di Benjamin Netanyahu a Gaza. Continua anche la strategia americana di deterrenza per evitare che il conflitto si allarghi in medio oriente: domenica il Pentagono ha fatto sapere che sono stati colpiti campi di addestramento e depositi nella Siria occidentale gestiti dalle Guardie della rivoluzione iraniane a protezione delle truppe americane in Siria e in Iraq. Ci sono circa 900 soldati americani in Siria e 2.500 in Iraq e l’Amministrazione Biden ha detto chiaramente di voler proteggere i propri “interessi” nella regione colpiti con una frequenza sempre maggiore dal 7 ottobre in poi. Allo stesso tempo, il capo del Pentagono, Lloyd Austin, ha avuto una conversazione con il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, durante la quale gli ha chiesto di contenere al minimo le operazioni militari al confine nord di Israele, contro Hezbollah in Libano, per non allargare il conflitto oltre a Gaza. In sintesi, le priorità di Washington sono: facilitare l’ingresso di aiuti e le evacuazioni a Gaza; lavorare con i mediatori della regione, in particolare il Qatar (invero poco efficace finora), per la liberazione degli ostaggi di Hamas; scongiurare l’allargamento del conflitto oltre Gaza; difendere le proprie basi e le proprie truppe nella regione. Nel dibattito americano però l’unico elemento che conta è il primo, cioè il sostegno che il presidente Biden dà al primo ministro israeliano Netanyahu e la sua contrarietà al cessate il fuoco. Nelle piazze pro Palestina i due leader sono messi sullo stesso piano tra di loro e con i criminali di guerra (in Europa qualcuno aggiunge anche la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen) e nel fine settimana è stato molto condiviso il messaggio di Jill Stein, che si è appena candidata alle presidenziali del 2024 per il Green Party, che dice: “Chiediamo un’inchiesta sui crimini di guerra del regime di Netanyahu così come sul ruolo di Biden e dei leader americani nell’aiutare e favorire” Israele. I Justice Democrats, l’associazione che ha costruito le candidature dei deputati più liberal del Partito democratico (il suo successo più grande è la deputata-star di New York Alexandria Ocasio-Cortez), continua a pubblicare rilevazioni e messaggi che dimostrano che nell’ultimo mese Biden, appoggiando Netanyahu, ha perso consensi. Secondo uno studio della Brookings Institution della settimana scorsa, “il cambiamento nella fascia di elettori più giovani (sotto i 35 anni, ndr) del Partito democratico è particolarmente rilevante: il numero di chi considera Biden ‘troppo pro Israele’ è raddoppiato da ottobre ed è aumentato il numero di coloro che vogliono che gli Stati Uniti si schierino a favore dei palestinesi”. Un giovane diplomatico del dipartimento di stato ha redatto un documento di cinque pagine, che è stato firmato da oltre cento dipendenti del dipartimento e dell’Agenzia per gli aiuti umanitari, in cui accusa Biden “senza portare esempi specifici”, precisa il sito Axios che ha visionato il documento, di aver “diffuso notizie false nel suo discorso del 10 ottobre”, quello in cui il presidente aveva dichiarato che il sostegno al diritto di Israele di difendersi c’era da sempre e ci sarebbe stato per sempre. Il documento chiede la liberazione degli ostaggi da parte di Hamas e da parte di Israele citando “le migliaia” di palestinesi nelle carceri israeliane e considera l’Amministrazione Biden “complice del genocidio” in corso a Gaza. Lo storico ed esperto di politica estera americana, Stephen Wertheim, ha pubblicato un articolo ieri sul New York Times dal titolo “L’America ha abbracciato stretto Israele. Forse non avrebbe dovuto”, nel quale sostiene che Biden sta perdendo credibilità a livello internazionale e sta mettendo a rischio la sua rielezione perché negli stati strategici gli elettori che lo avevano sostenuto nel 2020 potrebbero non farlo più. Intanto un ennesimo sondaggio pubblicato ieri dalla Stack Data Strategy dice che, se si votasse oggi, Donald Trump batterebbe Biden nei collegi elettorali ma non nel voto popolare. Biden si trova in una situazione delicata: da un lato fa fatica a convincere Netanyahu a garantire pause umanitarie più lunghe e in più il premier israeliano continua a lanciare messaggi contraddittori sui suoi progetti per il dopo Hamas a Gaza; dall’altro la rivolta dentro al suo Partito democratico è sempre più corposa, fuori e dentro il Congresso. La più paradossale delle argomentazioni contro Biden è che Netanyahu è una versione israeliana di Trump, inaffidabile e brutale, ma se i liberal non votano l’attuale presidente l’alternativa alla guida della Casa Bianca è Trump, non ce ne sono altre.
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