Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 13/11/2023 l'analisi di Fiamma Nirenstein con il titolo "Con Douglas Murray sul confine di Gaza: 'L’Occidente non capisce, è il prossimo' ".
A destra: Douglas Murray
Fiamma Nirenstein
Proprio nei giorni in cui esce in Italia il suo “Guerra all’Occidente” per Guerini, Douglas Murray si è infilato un giubbotto antiproiettile per andare sul confine di Gaza. Da una nostra conversazione esce la consueta valorosa passione a creare un muro di difesa per la società democratica che dal libro, passa al campo. Finalmente dalla Striscia a Gerusalemme davanti a un caffè, il giovane intellettuale cristiano dotato di quel british accent che dà valore aggiunto, sorride: certo che no i botti non gli fanno paura: “Sono stato l’anno scorso in Ucraina”. Prima si era fatto un giro per tutte le rovine fisiche e morali lasciate dall’attacco woke negli Stati Uniti. Adesso, è venuto a guardare negli occhi la terribile ferita inferta da Hamas il 7 di ottobre, a capire se il nostro mondo può affrontare una ferita simile. “Mi pare che Israele stia pensando bene a se stessa, adesso vediamo se ci riusciamo anche noi, ma sono scettico”. Douglas spiega che è venuto per portare affetto, solidarietà: “Volevo essere con voi” e così ha visto anche il film girato direttamente dai terroristi. “Credo quindi che comparare Hamas ai nazisti, non gli dia il dovuto. In comune c’è l’intento genocida, ma i nazisti avevano bisogno, la sera, come raccontano molte memorie, di parecchio alcool dopo avere passato la giornata a sparare in testa agli ebrei e a buttarli nei fossi, o a gasarli. Hamas è felice di fare a pezzi bambini, ne fa sfoggio: filma tutto, riprende le facce felici dei suoi intenti in roghi, mutilazioni, stupri, registra la telefonata alla mamma dopo aver staccato la testa a un giovane: ‘Babbo ho ammazzato gli ebrei, sei contento? passami la mamma’”. Forse Douglas non si aspettava di planare in un simile inferno; o almeno sperava che la vicenda, così trasparente, potesse portare a fare chiarezza e a riorganizzare le idee del mondo su Israele e i palestinesi: “Invece si sente ancora dire che Israele aggredisce la popolazione pacifica ma non è vero, ci sono i film che mostrano le accoglienze dentro Gaza degli assassini con le loro vittime morte e mutilate da parte della gente entusiasta, c’è il voto compatto per Hamas, c’è Fatah buttata giù dai tetti, ci sono ormai 18 anni di organizzazione autoritaria, di incitamento a uccidere gli ebrei”. Ma Macron “de facto” nonostante tutto si veda in trasparenza, parla di bambini e donne uccisi, di punizione collettiva… È un tipico blood libel, ragiona Murray, uno dei tre classici dell’antisemitismo più dolorosi ebrei non possono sopportare: l’idea che gli ebrei sarebbero responsabili di un genocidio inesistente, di uccidere donne e bambini, mentre fanno di tutto per evitarlo, di aver creato un altro Ghetto di Varsavia, mentre al contrario non hanno fatto altro che aprire, fino all’oblio di se stessi”. E ora, nella patria di Murray, Londra, ieri 300mila hanno gridato slogan scriteriati di odio antisemita, di distruzione di Israele “from the river to the sea”... Douglas ha una smorfia di sofferenza: “Israele è solo il numero uno di una grande battaglia che tutto l’Occidente ora si trova a dover combattere. È talmente chiaro che non c’è altra scelta…”. Talmente chiaro, però, che tutti chiedono a Israele di fermarsi. Sì ma qui Murray è sicuro: “Da quello che vedo, Israele si è ricompattata, riorganizzata, combatte bene, non ci sarà mai più un disastro così, come non può esserci più un undici di settembre. C’è stato un terribile momento di chiarificazione che ha portato all’unità e alla comprensione che i criteri vanno cambiati, che questa è una battaglia di necessità. E invece da noi…siamo lontani dal capire”. Ma forse non è così drammatico. Lo è, dice Murray: nel suo valoroso libro spiega come per puro masochismo la società abbia distrutto i pilastri di comprensione ed elaborazione colpevolizzandosi: “Queste grandi manifestazioni sono di nuovo il segno che ci siamo arresi di fronte alla pervasività del terrorismo islamico. Potevamo già affrontarlo, dal Bataclan all’attacco di Manchester nel 2017, Salman Abeidi fece 100 feriti a un concerto. Ma niente è stato fatto. Israele deve occuparsi di sé stessa, e noi dobbiamo cercare di rimettere le cose in ordine, incoraggiare la polizia, osservare le leggi”.
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