Netanyahu e Gallant: linea dura Cronaca di Fabio Tonacci
Testata: La Repubblica Data: 12 novembre 2023 Pagina: 9 Autore: Fabio Tonacci Titolo: «Netanyahu avverte: 'No all’Anp a Gaza'. Gallant non esclude l’attacco a Beirut»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/11/2023, a pag. 9, con il titolo "Netanyahu avverte: 'No all’Anp a Gaza'. Gallant non esclude l’attacco a Beirut", la cronaca di Fabio Tonacci.
Fabio Tonacci
TEL AVIV — Una doppia conferenza stampa infuocata. Il premier Bibi Netanyahu e il suo ministro della Difesa Yoav Gallant alzano la voce, attaccano i critici, aprono a scenari inquietanti. Dimostrazione che la linea dura, dopo più di un mese di guerra, è rimasta intatta. A cominciare dal possibile allargamento del conflitto al Libano. Rispondendo a una domanda su quale sia la linea rossa di Israele nei confronti di Hezbollah che continua a lanciare razzi sull’Alta Galilea, Gallant è chiaro: «Se sentirete che abbiamo bombardato Beirut, capirete che Nasrallah ha oltrepassato quella linea». Netanyahu vuole mostrarsi sicuro agli occhi dell’opinione pubblica. «Non ci fermeremo fino al completamento della missione, sconfiggeremo Hamas e riporteremo indietro gli ostaggi». Cancella i dubbi (alimentati in realtà da sue dichiarazioni contraddittorie) su quale futuro immagina alla fine del conflitto. «In nessuna circostanza Israele rinuncerà al controllo di sicurezza della Striscia. E non ci sarà il cessate il fuoco senza la restituzione dei prigionieri. Hamas ha perso il controllo del Nord della Striscia. Non ha nessun posto sicuro in cui nascondersi. Ai leader arabi che hanno a cuore il futuro dei loro Paesi nella regione, dico: dovete opporvi a Hamas. Nei 16 anni del suo governo, ha portato solo sangue e povertà a Gaza». Il premier se la prende anche con l’Autorità nazionale palestinese. «Non consentiremo a chi per oltre un mese non ha condannato la strage di controllare Gaza il giorno dopo la fine della guerra. A Gaza — ha aggiunto — non ci sarà un’autorità civile che educa al terrorismo e paga stipendi ai terroristi» Sia Netanyauh che il ministro della Difesa si sono rivolti poi alla comunità internazionale, sempre col piglio della fermezza assoluta. «Nessuna pressione internazionale ci farà cambiare idea sulla necessità di proteggere noi stessi». Gallant ha rincarato la dose, attaccando i leader mondiali che criticano Israele, con parole che sembrano dirette contro il presidente francese Macron. «Ne ascolto alcuni e chiedo a me stesso e a loro: da dove viene questo coraggio di predicarci la moralità in mezzo ai combattimenti? Voglio dire a quei leader europei: lo Stato di Israele nel 2023 non è nel 1943. Noi abbiamo la capacità e il dovere di difenderci da soli, ed è ciò che faremo». Nel pomeriggio a Tel Aviv i familiari dei 239 ostaggi nelle mani dei terroristi gridavano «ahshiv!» sul palco, davanti a migliaia di persone riunitesi al tramonto del sabato. Ahshiv, cioè ora. «Riportateli a casa ora», è il messaggio rivolto al contestatissimo Netanyahu. Negli ultimi giorni di abbozzi di negoziato che hanno portato a niente, hanno aggiunto un altro concetto. «Qualsiasi sia il costo». La piazza del museo d’arte di Tel Aviv è il villaggio dell’attesa. Hanno costruito una clessidra, come a dire che il tempo sta scadendo. «Siamo nella peggiore delle situazioni», ragiona Danit Gutman, cugina di Monan Stela Yanai, 40 anni, rapita al rave dove era andata per vendere i suoi gioielli. Danit ha nel telefono il video del momento della cattura, si sentono due uomini che insultano Monan mentre lei prega dentro una buca nella sabbia. «Disprezziamo Netanyahu ma non possiamo avere elezioni durante la guerra». Sul palco qualcuno urla il messaggio comune. «Ad ogni costo, vuol dire anche a costo di concedere il cessate il fuoco o di scambiare i nostri ragazzi con i detenuti palestinesi nelle carceri. Gaza è lì, non scappa. Hamas pure. Ci penseremo dopo. Ora riportiamoli a casa». Dopo la manifestazione ci sono stati scontri in strada tra sostenitori e oppositori del premier.
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