Marco Paganoni
C’è corteo e corteo. Da un lato si moltiplicano le nauseanti manifestazioni di chi si compiace della macelleria anti-ebraica del 7 ottobre e inneggia all’annientamento dello stato ebraico e degli ebrei gridando “Israele in pattumiera”, “Palestina dal fiume al mare”. Sono cortei che vedono sfilare decine di migliaia di persone nelle principali città d’Europa e America.
Pazienza. Prendiamo atto che esistono, oggi in Occidente, decine di migliaia di persone moralmente abiette, di mentalità violenta e dispotica, culturalmente primitive, politicamente analfabete. E antisemite. Non è la prima volta che accade. Da tenere presente che queste persone sono parte attiva di quel rifiuto dell’esistenza dello stato ebraico che è la vera causa dell’interminabile conflitto, e delle vittime. Più sono e urlano e raccolgono consensi, più a lungo durerà la guerra israelo-palestinese e più numerose saranno le vittime.
Ci sono anche, tuttavia, alcune manifestazioni che vengono organizzate da persone di buona volontà, animate da sincera angoscia per la sorte degli innocenti travolti dalla guerra e per la pace nel mondo.
Una di queste manifestazioni si è tenuta a Bergamo venerdì sera, indetta da una serie di enti collegati alla sezione locale della Rete Pace e Disarmo sulla base di un appello – l’unico testo di cui è stata data lettura durante l’evento – che definiremmo il più equilibrato che ci si può aspettare dalla galassia che ama definirsi pacifista. Un testo in cui si condanna “l’ignobile e brutale atto di aggressione di Hamas contro la popolazione civile israeliana, contro anziani, bambini, donne, in spregio di ogni elementare senso di umanità e di civiltà, alla quale si è aggiunta la barbara pratica della presa di ostaggi”, e in cui si afferma che “non vi è giustificazione alcuna, neppure la disperazione e l’esasperazione del popolo palestinese, per l’operato di Hamas”, definita “organizzazione confessionale, profondamente reazionaria e affiliata a reti terroristiche”.
Il tutto accompagnato, ça va sans dire, dalla “ferma condanna dell’occupazione di Israele dei territori palestinesi” e dei suoi “metodi di rappresaglia” (e peccato per quel riferimento alle “70 risoluzioni dell’Onu non rispettate da Israele”: una fandonia che viene ripetuta da almeno vent’anni, ma insomma, l’informazione sul tema è quella che è, non si può pretendere).
Dunque ha fatto bene l’Associazione Italia-Israele di Bergamo a raccogliere l’invito degli organizzatori ad aderire e a presentarsi con la bandiera d’Israele “pur non condividendo integralmente l’appello e alcune riflessioni in esso contenute”, come precisa in un comunicato.
Eppure.
Eppure, quando abbiamo letto il titolo dell’appello (“Riprendiamo per mano la pace”), quando abbiamo sentito declamare con convinzione dai microfoni “no all’occupazione, no al terrorismo e alla violenza efferata, no alla guerra!”, quando abbiamo visto le due o trecento persone convenute in quella piazzetta di Bergamo concludere l’evento gridando in coro “pace, pace, pace!”, non siamo riusciti a trattenere l’impressione di assistere a una sorta di rito apotropaico, più vicino a una liturgia religiosa che a un impegno etico e politico.
C’è una guerra (un’altra!). Quindi è in atto una tragedia. I morti sono tanti (sempre troppi). Tante anche le vittime civili (sebbene, dati i precedenti, suggerirei di non credere ciecamente alle cifre diffuse da quella banda di delinquenti che è Hamas, che oltretutto studiatamente non distingue mai combattenti e non combattenti). E’ certamente una situazione drammatica. Capisco l’angoscia. Condivido l’auspicio che finisca presto.
Ma resta la domanda: cosa dovrebbe fare, invece, Israele?
Ricapitoliamo. A Gaza, controllata dai jihadisti Hamas sponsorizzati dall’Iran, Israele forniva acqua, elettricità, carburante. A Gaza lasciava entrare gli aiuti internazionali e le mega-bustarelle del Qatar (una politica che ora, detto per inciso, gli viene rimproverata come “connivente” con Hamas). Da Gaza, Israele lasciava entrare lavoratori ben remunerati e malati gravi perché fossero curati (compresi diversi famigliari dei capibastone terroristi). Una dozzina d’anni fa, per ottenere la liberazione di un unico ostaggio, Israele accettò di scarcerare più di mille detenuti per terrorismo (compreso, fra gli altri, quello Yahya Sinwar che ora è a capo dell’apparato terroristico-militare di Hamas). Ogni volta che da Gaza sparavano razzi e missili sulle comunità israeliane, Israele reagiva nel modo più misurato, senza mai smantellare sul serio le strutture paramilitari dei jihadisti, mentre tutto il mondo gli gridava di contenersi e fermarsi.
Risultato di tutto questo? La mattanza nazi-islamista del 7 ottobre.
Dunque, di grazia, fateci sapere: cosa dovrebbe fare ora, Israele, che non sia sedersi ed aspettare la ripetizione di altri 7 ottobre (già promessa), lasciando pure nelle mani dei tagliagole 240 ostaggi, compresi trenta bambini? Non è una domanda retorica o provocatoria. E’ l’unica vera domanda a cui dovrebbero rispondere coloro che invocano il cessate il fuoco immediato per “riprendere per mano la pace”.
(Da: israele.net, 5.11.23)
Ha scritto Carly Pildis sulla rivista ebraica americana Forward: “I miei amici di sinistra vogliono un cessate il fuoco. Perché invece non chiedono la resa di Hamas? Anch’io sono addolorata per la perdita di vite palestinesi innocenti. Ma un cessate il fuoco creerà solo nuove opportinità per Hamas, non la pace”. (Da: Forward.com, 2.11.23)
Ha detto alla CNN il senatore Bernie Sanders: “Non so come si possa ottenere un cessate il fuoco, un cessate il fuoco permanente, con un’organizzazione come Hamas che è votata a tumulti, al caos e alla distruzione dello stato di Israele”. Clicca per il video