Il significato del sostegno di Washington a Israele
Analisi di Antonio Donno
Il terzo viaggio di Antony Blinken in Israele, dopo quello dello stesso Biden, sta a dimostrare che gli Stati Uniti, più che nel passato, sono impegnati a sostenere Israele nella sua battaglia contro il terrorismo di Hamas. In tutte le guerre che lo Stato ebraico ha dovuto combattere contro il mondo arabo, impegnato a distruggere il suo nemico mortale, mai Washington aveva fatto passi così impegnativi nel difendere Israele. Anche quando si è trattato di isolati, benché frequenti, attacchi contro civili israeliani da parte dei terroristi e della dura risposta di Israele contro i centri di comando palestinesi all’interno della West Bank, Washington non ha lesinato critiche al governo israeliano per l’eccesso di reazione che talvolta ha coinvolto alcuni civili palestinesi.
Ora la situazione è ben diversa. La strage del 7 ottobre ha posto il governo Biden di fronte a una realtà chiarissima: se Israele dovesse essere attaccato da Hamas, a partire dalla Striscia di Gaza, da Hezbollah dal confine con il Libano e dalla West Bank da altre formazioni palestinesi – tutte formazioni terroristiche sostenute militarmente ed economicamente dall’Iran – la sopravvivenza di Israele sarebbe messa in pericolo. Dunque, Washington si è mossa a sostenere Israele, non solo fornendo armi, ma anche avvertendo l’Iran che un suo intervento sarebbe stato fronteggiato dagli Stati Uniti. L’invasione di Gaza da parte di Gerusalemme al fine di sradicare fisicamente Hamas non ha incontrato alcuna obiezione da parte americana; anzi, la reiterata affermazione da parte del governo americano che Israele ha il diritto di difendersi dal terrorismo di Hamas implica in modo incontrovertibile che Washington intende difesa come offesa, cioè come diritto di Israele di replicare alla strage del 7 ottobre con una sistematica azione militare intesa come operazione di ripulitura di Gaza dalla presenza di Hamas.
I viaggi di Blinken in Israele hanno avuto come finalità l’apertura di un periodo temporaneo di tregua per aiutare la popolazione di Gaza in un momento di gravissima crisi alimentare e sanitaria. Washington non può esimersi da tale posizione per non apparire insensibile di fronte alle urgenti necessità degli abitanti di Gaza, ma la sostanza di questi incontri è la conferma del sostegno americano alle operazioni israeliane a Gaza.
Ma c’è un progetto politico che accompagna l’appoggio di Washington alla guerra di Israele contro Hamas, che può essere così riassunto: gli Stati Uniti intendono rientrare a pieno titolo negli affari mediorientali, che la pessima politica di Obama ha di fatto ritirato da una regione cruciale del sistema politico internazionale. Di conseguenza, il sostegno politico dato a Israele è il primo passo verso una nuova presenza americana in quello scenario, nel quale Russia e Cina si pongono come attori primari alle spalle dell’Iran. Più volte Netanyahu, nei suoi incontri con Biden e Blinken, aveva prospettato il pericolo che il Medio Oriente cadesse nelle mani del trio Russia-Cina-Iran, mettendo in pericolo la stessa sopravvivenza di Israele. Da questo punto di vista, l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre ha palesato agli Stati Uniti il pericolo di un processo che è in corso di attuazione.
Il mondo arabo sunnita, insieme a Israele, potrà trovarsi nell’occhio del ciclone. Tutti gli sforzi compiuti da Netanyahu per dare vita a una blocco di Paesi mediorientali in funzione di contrasto al suddetto trio potrebbe risolversi in un catastrofico fallimento. Gli “Accordi di Abramo”, sottoscritti da Israele, Marocco, Emirati Arabi Uniti e Bahrain, cui finalmente potrebbe aggiungersi l’Arabia Saudita, grazie ai recenti accordi con Washington, potrebbero rivelarsi un fallimento, se gli Stati Uniti dovessero continuare a auto-estromettersi dagli affari mediorientali. Per questo motivo, la guerra portata da Israele nel cuore di Gaza è un fondamentale momento che Washington deve cogliere per riequilibrare e capovolgere il sistema di forze presente attualmente nel Medio Oriente, riproporre Israele come fattore centrale di stabilità insieme ai Paesi degli “Accordi di Abramo”, fronteggiare positivamente il progetto iraniano di conquista della leadership nella regione grazie al sostegno politico e militare di Russia e Cina.
Antonio Donno