Se le piazze rifiutano Israele Commento di Elena Loewenthal
Testata: La Stampa Data: 30 ottobre 2023 Pagina: 25 Autore: Elena Loewenthal Titolo: «Se le piazze rifiutano le ragioni di Israele»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/10/2023, a pag.25, con il titolo "Se le piazze rifiutano le ragioni di Israele" il commento di Elena Loewenthal.
Elena Loewenthal
Una manifestazione di odio contro Israele
"Palestina libera!" non è un messaggio di pace: invocando il riscatto dal cosiddetto occupante "dal Mediterraneo al Giordano" nega a Israele il diritto all'esistenza e presuppone la necessità di una guerra totale in quell'area. Ma lo stato ebraico non nasce da un sopruso, anzi, per universale consenso: il 29 novembre del 1947, infatti, le Nazioni Unite votano a maggioranza una risoluzione che prevede alla fine del governo mandatario provvisorio inglese la nascita di due Stati palestinesi. Uno ebraico e uno arabo. Il fronte ebraico ha accolto la risoluzione e dato vita a uno dei due stati palestinesi, quello d'Israele. Il fronte arabo l'ha da allora tenacemente e costantemente respinta. "Liberare" la Palestina dal Giordano al Mediterraneo significherebbe cancellare uno Stato legittimo, e prima ancora distruggerlo con le armi. Altro che "stop a tutte le guerre"... Senza contare che ridurre gli arabi palestinesi al ruolo di vittime immacolate prive di ogni colpa e responsabilità fa un torto prima di tutto a loro, li rende l'oggetto passivo di un colonialismo politico e intellettuale che è il contrario della liberazione. Il conflitto mediorientale è terribilmente complesso, ricco – se così si può dire – di sfumature e di nessi sotterranei. Ma il rifiuto arabo di settantasei anni fa ne è il peccato originale (con tutto il beneficio d'inventario della metafora teologica), che ha avuto per conseguenza la negazione esistenziale prima ancora che politica del nemico – cioè dello Stato ebraico. È questo che ancora oggi chiede la piazza, quando grida "Palestina libera": non la convivenza, non la critica a un governo piuttosto che un altro. Niente di tutto questo, ma l'eliminazione totale di quel nemico che sbaglia in quanto esiste. Eppure, ed è una fra le tante cose dolorosissime di questi giorni, il fronte della sinistra preferisce adagiarsi su mezze parole, mezzi silenzi e silenzi totali, pur di non ripensare al proprio rapporto con quel conflitto. "Alla sinistra internazionale non ho altro da dire che: vai all'inferno", scrive Lilach Volach sulle pagine di Haaretz, quotidiano israeliano non propriamente guerrafondaio. Possibile che all'indomani di un attentato sanguinoso – supposto che sia logico fare questa conta, le proporzioni del 7 ottobre sono molto più terrificanti di quelle dell'11 settembre e di tutta la storia del terrorismo – la "sinistra si sia premurata immediatamente di legittimarlo come parte della rivolta civile palestinese?", si domanda. Pensare che quel dannato 7 ottobre poteva essere l'occasione di una seria riflessione per la sinistra, che dal 1967 in poi ha rinnegato con dogmatico rigore le ragioni d'Israele. Quel 7 ottobre poteva e doveva portare con sé degli interrogativi, la consapevolezza che schierarsi in modo aprioristico non aiuta nessuno. Poteva e doveva spingere a una condanna del terrorismo che non fosse, come è stato, una formula sterile, di quelle fatte apposta per essere dimenticate. Con i bisbigli incerti della sua classe dirigente, anche la sinistra italiana ha preferito assecondare la piazza e gli slogan su una "Palestina libera" che dovremmo aiutare a liberarsi di Hamas, del terrorismo, dei proclami demagogici di stati canaglia cui la sorte dei palestinesi non interessa affatto. Ha preferito evocare un pacifismo che tale non è, invece di provare a ragionare su quel che è successo negli ultimi settantacinque anni. Così lo sdegno, seppure c'è stato, si è subito riempito di "se" e di "ma" ed è durato lo spazio di una notte, dopo di che è stato così facile ritrovare la confortante equazione fra Israele e nazismo, che mette il cuore in pace perché con un'etichetta così non c'è più bisogno di ragionare, basta stare da una parte e non dall'altra.
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