Testata: La Stampa Data: 28 ottobre 2023 Pagina: 11 Autore: Anna Zafesova Titolo: «Putin disperato sceglie la Jihad e l'Iran addio all'equidistanza in Medio Oriente»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 28/10/2023, a pag.11 con il titolo 'Putin disperato sceglie la Jihad e l'Iran addio all'equidistanza in Medio Oriente' l'analisi di Anna Zafesova.
Anna Zafesova
Vladimir Putin
A leggere i comunicati ufficiali sull'incontro che la delegazione di Hamas ha avuto a Mosca, sembra di vivere in due mondi paralleli: mentre la dichiarazione della diplomazia russa sostiene che l'argomento principale dei colloqui sia stata «la liberazione degli ostaggi, come da posizione già dichiarata della Federazione Russa», gli emissari da Gaza hanno espresso il loro «apprezzamento per la posizione di Vladimir Putin» e sostengono di aver discusso «l'aggressione sionista» e il disegno di un Medio Oriente «diverso da quello prospettato dagli Usa». E mentre il portavoce del presidente russo Dmitry Peskov insiste che per gli uomini di Hamas «non è previsto alcun appuntamento al Cremlino», e che si è trattato di ordinaria diplomazia, la presenza ai colloqui di Ali Bagheri Kani, viceministro degli Esteri dell'Iran, fa pensare alla ricerca di un'intesa che va ben oltre quella mediazione umanitaria che Mosca dichiara come suo obiettivo ufficiale. La Russia è ormai un'alleata dell'Iran, dal quale dipende nella fornitura di armi, soprattutto droni, per continuare a colpire le città ucraine. Di recente Teheran ha mostrato interesse anche alla Unione economica euroasiatica, la formazione postsovietica voluta da Putin. Quindi, come minimo Mosca si è prestata a fare da garante a un incontro tra i vertici di Hamas e un altolocato esponente del regime iraniano. Una mossa difficile da liquidare come ordinaria diplomazia, anche perché il capo della delegazione di Hamas, Abu Marzouk, utilizza i media statali russi per lanciare una serie di messaggi e accuse, tra cui quella che l'offensiva israeliana contro Gaza sia «comandata dagli americani»: la stessa affermazione ripetuta da Putin e dalla sua propaganda rispetto all'invasione dell'Ucraina, considerata una «colonia degli Usa». Non a caso Volodymyr Zelensky lancia a Bruxelles l'avvertimento su un'intesa che potrebbe formarsi a Mosca: «I nemici della libertà sono molto interessati ad aprire un secondo fronte contro il mondo libero». Il Cremlino sognava e cercava il secondo fronte da un anno e mezzo, e ora è arrivato: a livello mediatico, la guerra in Ucraina è già sparita dalle prime pagine internazionali, l'attività diplomatica e la solidarietà internazionale si sono spostate in Medio Oriente, e Mosca può sperare che anche a livello di aiuti militari le esigenze di Kyiv passino in secondo piano. Il centro demoscopico Fom registra da due settimane consecutive una visibile riduzione dello stato d'ansia dei russi: una guerra lontana cancella quella vicina, mentre la propaganda televisiva mostra gli effetti dei missili su Gaza, come a dire che se lo fa Israele possono farlo anche i russi, e se l'Occidente condanna Putin, ma giustifica Netanyahu vuol dire che i russi sono vittime di una discriminazione che li accomuna ai palestinesi. Ed è proprio in questo sillogismo che si nasconde la trappola che rende quasi impossibile per Putin provare a lanciare una mediazione, giocare su due tavoli e tentare di fare all'Occidente un'offerta che il politologo della fondazione Carnegie Aleksandr Baunov riassume come «noi vi aiutiamo a tirarvi fuori dai guai in Palestina, e voi ci date una mano con l'Ucraina». Uno scambio che stava quasi per funzionare all'epoca della guerra all'Isis in Siria, ma che oggi appare impraticabile perfino per i cultori della "real politik". Con le sue mosse degli ultimi due anni Putin ha speso il capitale della "equidistanza" (che aveva permesso ai russi di muoversi con pragmatismo tra Riad, Teheran e le capitali dei regimi laici come il Cairo). La decisione di presentare l'invasione dell'Ucraina come sfida all'Occidente ha inevitabilmente connotato lo schieramento della Russia: contro gli Usa e contro l'Europa che appoggiano l'Ucraina e Israele, quindi insieme a Hamas, all'Iran e a quel "Sud globale" che Putin negli ultimi mesi ha corteggiato con una retorica in chiave "anticolonialista". La logica di cercare amici tra i nemici dei propri nemici, e la tentazione di cavalcare il sentimento filopalestinese in chiave antiamericana e antioccidentale – coerente con la restaurazione dellUrss praticata dal putinismo – rischia di azzerare il rapporto con un altro grande alleato russo in Medio Oriente: Israele. Un Paese che non solo ha una cospicua parte della popolazione russofona (che vota a destra), ma che è la destinazione prediletta di oligarchi, funzionari e pop star russe. Netahyahu non ha aderito alle sanzioni contro la Russia, e non ha inviato – almeno non ufficialmente – aiuti militari all'Ucraina. Ora, il ministero degli Esteri israeliano ha definito l'invito della delegazione di Hamas a Mosca un «atto osceno» e ha chiesto la sua espulsione immediata. Intanto, da tre settimane, la retorica della propaganda televisiva russa ha assunto toni di antisemitismo e antisionismo, e all'incontro con i leader religiosi di mercoledì scorso Putin ha insistito a parlare di "Terra Santa" invece che di Israele: segnali che Israele non potrà non notare.