Curioso: 500 morti nel 2002 a Jenin, 500 morti la scorsa settimana all’ospedale di Gaza
Analisi di Harold Ohayon, da Israele.net
Harold Ohayon
A quanto pare, il numero 500 esercita un fascino particolare sui palestinesi quando si tratta di gettare calunnie diffamatorie su Israele. Durante l’Operazione Scudo Difensivo del 2002 (lanciata per arginare l’ondata di stragi suicide in Israele ndr), quando le Forze di Difesa israeliane entrarono a Jenin per distruggere i covi dei terroristi che vi pullulavano, i palestinesi si precipitarono dai media internazionali sostenendo che gli israeliani stavano perpetrando un massacro innocenti. Saeb Erekat, allora uno dei principali portavoce e propagandisti del movimento Fatah di Yasser Arafat, affermò che a Jenin erano stati “massacrati 500 palestinesi” durante l’operazione antiterrorismo dei soldati israeliani. Come faceva a conoscere e proclamare quel numero? Impossibile saperlo, ma i media internazionali non esitarono un minuto a riprenderlo e diffonderlo. Senza alcuna conferma o prova o riscontro, i media diffusero in tutto il mondo la calunnia diffamatoria. Quando gli osservatori internazionali poterono finalmente entrare a Jenin per valutare i danni, dipinsero un quadro molto più realistico di quanto era accaduto: una dura battaglia, nella quale erano rimasti uccisi circa 50 palestinesi, in gran parte appartenenti a gruppi terroristici, e ben 23 soldati israeliani. Tutt’altro che un “massacro” di 500 civili inermi. Ma ormai il danno era fatto, e ancora oggi la reputazione di Israele subisce le conseguenze delle storie inventate da capi e agitatori e intellettuali palestinesi sulla battaglia di Jenin del 2002. La vicenda si è ripetuta la scorsa settimana, quando i rappresentanti di Hamas hanno dichiarato che un presunto attacco israeliano all’ospedale Al Ahli di Gaza aveva causato la morte di “500 palestinesi”. Come erano arrivati in pochi minuti ad annunciare un bilancio di vittime così alto così? All’evidenza, non hanno fatto altro che ispirarsi al precedente di Jenin, nella speranza – oggi come allora – di ingigantire al massimo le proteste pubbliche per Gaza e contro Israele. E a quanto pare funziona alla grande. Decine di migliaia di persone sono scese nelle strade di tutto il mondo per condannare e calunniare Israele, mentre altri cercavano di assaltare le ambasciate israeliane e americane in tutto il Medio Oriente. Cosa è successo ad Al Ahli? Come nell’Operazione Scudo Difensivo del 2002, la verità è tutta diversa da ciò che hanno sostenuto i palestinesi. L’ospedale non è stato colpito direttamente, e non ha subito danni. Il parcheggio accanto è stato colpito da un ordigno che, secondo fonti internazionali, avrebbe causato fra i 10 e i 50 morti. Di nuovo, una cifra molto lontana dai 500 morti inizialmente annunciati e tutt’ora ripetuti a pappagallo dai manifestanti anti-israeliani. Fatto ancora più scottante, a causare i morti è stato un missile difettoso della Jihad Islamica Palestinese, non un attacco aereo israeliano. Ma anche questa volta i media internazionali si sono bevuti le affermazioni palestinesi, non dimostrate e poco credibili, e le hanno immediatamente rilanciate in tutto il mondo, i leader della regione hanno fatto saltare il previsto incontro con il presidente Biden e i tumulti si sono diffusi a macchia d’olio. E’ evidente che molti media internazionali devono riesaminare seriamente i propri valori deontologici e verificare il modo in cui coprono questo conflitto. Prendere per buone, senza alcun chiarimento o indagine, le affermazioni di un gruppo notoriamente terrorista che ha appena trucidato in modo abominevole più di mille persone in Israele, è semplicemente ridicolo. Questo spregio per i più elementari standard giornalistici non farà altro che aggravare il conflitto, e i servizi giornalistici diffamatori e infondati metteranno ovunque in pericolo la vita degli ebrei. Si può solo sperare che la prossima volta che i palestinesi sbandiereranno il numero 500, i media si prenderanno un po’ di tempo e cercheranno di verificarla con quel minimo di diligenza che la professione richiede.
(Da: Times of Israel, 20.10.23)