Testata: Libero Data: 08 giugno 2003 Pagina: 14 Autore: Angelo Pezzana Titolo: «Decalogo per Berlusconi inviato nella palude palestinese»
Il quartetto che ha inventato la Road Map dovrebbe oggi essere più correttamente definito quintetto. Se a mettere insieme il tracciato di pace fra israeliani e palestinesi ci hanno provato America, Onu, Russia ed Europa con l'inizio promettente dell'incontro di Aqaba, la richiesta ufficiale che Bush ha fatto al nostro presidente del consiglio pone di fatto Silvio Berlusconi fra i protagonisti di prima fila nelle trattative Sharon-Abu Mazen. "Bush mi ha chiesto di rifare il suo tour in Medioriente e di riferirgli i risultati dei suoi sforzi", ha dichiarato Berlusconi, a poche ore dalla partenza per Israele. E' immaginabile quindi che si incontrerà con Ariel Sharon e Abu Mazen, per verificare, dopo pochi giorni dalla loro stretta di mano, come stanno andando le cose, se ci sono dei progressi dopo le dichiarazioni piene di speranze. Sharon ha dalla sua la decisione sofferta di decidere quali colonie smantellare per rendere possibile l'omogeneità del futuro stato palestinese. Non sarà facile e comunque un progetto di mutamento territoriale dovrà presentarlo. Abu Mazen, per suo conto, dovrà dimostrare con i fatti che ha reciso il cordone ombelicale con Arafat, altrimenti ne rimarrà soffocato. Deve mettere l'alt al terrorismo e la presenza di Mohammed Dahlan, che pare non da oggi ben deciso a stroncare violenza e terrore, non sarà nemmeno quella sufficiente se il fiato del rais continuerà a soffiare anche sul suo collo. Berlusconi, l'abbiamo già detto altre volte su queste colonne, ha ben meritato come ministro degli esteri, così come la sua guida si fa sentire in maniera autorevole con il molto diplomatico ministro Frattini. Oggi è arrivato il giorno della visita ufficiale, con in più la benedizione di Bush, che dopo la liberazione dell'Iraq del quartetto è l'unico, vero, incontrastato leader. Onu, Russia ed Europa sono figure di contorno. Accanto a Sharon e Abu Mazen c'era lui a suggellare la stretta di mano. E il presidente americano l' ha detto chiaramente, senza alcuna possibilità di essere male interpretato. Basta con Arafat, che è oggi, di fatto, il vero ostacolo alla pace. Le dichiarazioni rabbiose fatte dal rais contro il vertice di Aqaba, le parole di disprezzo rivolte ad Abu Mazen come se fosse un burattino fra le sue mani, la dicono lunga non solo sul pericolo che oggi Arafat rappresenta per un futuro di pace, ma anche su quanto la sua azione politica ha significato nel passato. In Europa veniva osannato e una stampa ostile a Israele lo presentava come il leader "democraticamente" scelto dal suo popolo. La diplomazia, rispondendo a precisi ordini politici, lo elevava al rango di capo di stato, mentre era solo un dittatore che giocava sporco su tutte le tavole che gli capitavano a tiro. I governi lo riempivano di denaro, rendendolo uno degli uomini più ricchi del pianeta. Tutto questo mentre il suo popolo era in miseria o andava a farsi saltare in aria pur di uccidere quanti più ebrei possibile. Stia attento, signor presidente del consiglio, quegli uomini e quelle istituzioni non si sono sciolte miracolosamente come neve al sole. Alla Farnesina non alzeranno più la testa come prima, ma gli eredi della politica filo araba sono ancora lì, così come gli editorialisti dei "grandi" quotidiani mica l'hanno persa la speranza di rimettere in corsa il "caro buon vecchio Abu Ammar", come affettuosamente l'ha sempre chiamato Igor Man. Vedrà, cercheranno di infilarglielo nel menu alla prima occasione. Guardi quanti leaders europei vanno ancora a baciargli la pantofola. Guardi bene chi organizza il suo viaggio, e ci permetta di citarle ancora una volta il presidente americano. Parla chiaro, tutti lo capiscono, e alla fine vince. Hanno poco da sventolare tutte quelle bandiere della "pace" che rimangono attaccate ai balconi di mezza Italia. Lei lo sa cosa vogliono dire. Abbasso Bush, ma anche abbasso Berlusconi. Ma quella che ha vinto è quella a stelle e strisce. Non sarà appesa ai balconi come l'altra ma è quella che ha vinto. Ci permettiamo, caro presidente, di segnalarle un altro uomo,Atiel Sharon, forte e deciso, che non ha timore di parlar chiaro, tanto da non ricevere nessuno che sia andato ad incontrare Arafat. Se si vuole arrivare alla pace Arafat deve andare in pensione. L'età ce l'ha, in abbondanza. Bene arrivato in Israele, presidente Berlusconi, il paese del latte e del miele. Un paese che ha anche conosciuto molto sangue, ma che disperatamente e con ostinazione cerca e vuole la pace. Il suo governo è oggi uno dei più vicini allo stato ebraico. E lei ne ha il merito. Dia una mano a Sharon e Abu Mazen, sono loro i leaders che potranno costruire la pace.