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Israele e ‘l’uso sproporzionato della forza’ Analisi di David Elber
Israele, anche dopo il massacro compiuto dai terroristi palestinesi di Hamas del 7 ottobre, è stato accusato da numerosi rappresentanti ONU di “uso sproporzionato” della forza. Altri rappresentati politici come il ministro degli esteri Tajani o l’alto rappresentante della politica estera dell’Unione Europea, Borrell, tra i tanti, si sono affrettati a dichiarare che “Israele deve fare un uso proporzionato della forza” altrimenti viola il diritto internazionale. Però, oltre a questa banale affermazione, nessuno di loro ha mai specificato in cosa consista la proporzione dell’uso della forza. Talvolta viene inteso come divieto di colpire i civili in azioni militari. Ma anche questa accezione è fuorviante e distorta politicamente, per criminalizzare qualsiasi risposta militare di Israele. Come vedremo più avanti, l’unico divieto esistente, nelle leggi internazionali, è quello di colpire deliberatamente i civili quando sono distinti da un obiettivo militare. Il caso di Hamas, che utilizza sistematicamente i civili come “scudo” delle proprie installazioni militari, fa automaticamente decadere tale distinzione. Così, chi va messo nel banco degli imputati, quando vengono coinvolti i civili è unicamente Hamas e non Israele, come, invece, sistematicamente avviene.
Le norme internazionali sull’utilizzo della forza militare e le regole di ingaggio di un esercito sono disciplinate, principalmente, dalla Convenzione dell’Aia del 1907 e dalle Convenzioni di Ginevra (4 convenzioni e due protocolli aggiuntivi del 1977) relativamente ai civili e ai prigionieri di guerra. Esse non dicono quale sia “l’uso proporzionato della forza” (tanto è vero che il principio di “proporzionalità” non compare in nessuno di questi trattati internazionali), ma indicano in via generale quale sia l’uso della forza militare idoneo per la conquista di un obiettivo militare. Oppure, in merito alla popolazione civile, indicano – principalmente nel I protocollo alla IV Convenzione di Ginevra del 1977 – che è severamente vietato attaccare in “maniera indiscriminata” la popolazione civile. Va sottolineato che questo principio è definito all’Art. 51 (5) del suddetto protocollo. Per attacco indiscriminato si intende un attacco militare non su un obiettivo militare specifico ma su un’intera area (urbana e non) indipendentemente dal fatto che in essa ci siano chiare zone prive di obiettivi militari, cosa che Israele non ha mai fatto in nessuna delle sue operazioni militari. Allora perché molti politici si affrettano a chiedere ad Israele di non utilizzare uno “sproporzionato” uso della forza, se tale principio non esiste nel diritto? Per meri scopi accusatori nei confronti dello Stato ebraico, che, in questo modo viene imputato di qualche violazione anche se di norme inesistenti. Israele, diviene così, immediatamente, colpevole a prescindere. Va sottolineato che l’accusa di “uso sproporzionato” della forza non è mai stata rivolta a nessun altro Stato al di fuori di Israele (neanche alla Russia per l’aggressione all’Ucraina).
Una cosa, invece, è certa nella Convenzione dell’Aia o nelle Convenzioni di Ginevra: è fatto divieto assoluto di utilizzo di abitazioni civili, luoghi di culto o ospedali come luoghi di stoccaggio per armi e munizioni e tanto meno il loro utilizzo come basi operative per azioni armate. Cosa, ad esempio, mai evidenziata nei “rapporti” ONU dopo i passati scontri. Come si può ben comprendere, Israele è sempre costretto a operazioni militari, dai terroristi palestinesi che non rispettano nulla del diritto internazionale, in teatri urbani dove è praticamente impossibile intervenire senza causare vittime civili, soprattutto alla luce del fatto che sono scientemente utilizzati come scudi umani.
Cosa dice il diritto internazionale in merito alle vittime civili nei conflitti militari? Dice che è severamente vietato causare vittime civili solo quando i civili non costituiscono un chiaro obiettivo militare. Quando sono invece un obiettivo militare? Quando sono direttamente coinvolti negli obiettivi militari, come nel caso dei terroristi che li usano come scudi umani per proteggersi o proteggere i comandi o i depositi di armi. In questo caso la sola responsabilità di violazione del diritto internazionale ricade sulla parte – i terroristi palestinesi – che li espone ai pericoli del conflitto militare. Il compito dell’esercito israeliano è solo quello di non colpire deliberatamente abitazioni o strutture che non centrano nulla con i centri militari dei terroristi.
Facciamo un esempio. Accusare Israele di “uso sproporzionato” della forza militare perché utilizza elicotteri e droni a copertura dei soldati sul terreno è una colossale menzogna, perché un esercito può utilizzare i mezzi che ritiene più opportuni per portare avanti un’azione militare (se non espressamente vietati nelle convenzioni come ad esempio i gas o le armi batteriologiche). Il problema è che molto spesso in Occidente si confonde la guerra con le operazioni di pubblica sicurezza delle forze dell’ordine, ma si tratta di operazioni completamente diverse nei fini e nella metodologia operativa. Quindi, la discriminante per stabilire se c’è stato un “uso indiscriminato” di forza militare (e non un “uso sproporzionato”) non è dato dai mezzi militari che vengono utilizzati ma dal modo in cui tali mezzi vengono utilizzati. Se sono utilizzati unicamente per colpire degli obiettivi militari – anche in centri urbani – sono legittimi, se sono utilizzati per bombardare a casaccio per colpire edifici che nulla hanno a che fare con gli obiettivi militari allora si è in presenza di un “uso indiscriminato” della forza militare. Se la presenza degli obiettivi militari è tra la popolazione civile la violazione del diritto (e dell’etica) ricade unicamente su chi li ha installati lì non su chi li colpisce.
A quanto detto fino ad ora, si può anche aggiungere che molti rappresentanti dell’ONU, al pari di quelli di vari governi, ritengono che essendo Hamas o la Jihad Islamica organizzazioni terroristiche non “devono” sottostare alle regole del diritto internazionale mentre Israele sì (cosa sostenuta anche dalla Corte di Giustizia Internazionale con parere consultivo del 2004 a proposito della barriera di sicurezza). Questo pone uno Stato legittimo (Israele) nell’impossibilità pratica di difendersi, come stabilito dalla leggi internazionali (ad iniziare dall’articolo 51 dello Statuto dell’ONU), perché qualsiasi azione da esso intrapreso potrà essere messa, sempre, in discussione, visto che la controparte non rispetta nessun principio umanitario nell’indifferenza generale. È quasi superfluo notare che questo atteggiamento è riservato unicamente ad Israele.
È chiaro che per questi e altri casi (talebani, Al-shabaab ecc.) è necessaria una implementazione delle regole del diritto internazionale in quanto, essi, posseggono tutti i requisiti statuali ma non rientrano ufficialmente nell’alveo delle sue regole. Questo è un vuoto che deve essere colmato perché sono una presenza con la quale bisogna fare i conti ogni giorno di più. Però una cosa è chiara: la poca chiarezza delle norme diventa uno strumento adatto ad attaccare unicamente Israele e mai i suoi nemici.
David Elber
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