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La Stampa Rassegna Stampa
07.06.2003 Una analisi accurata
è quella di Bettiza, soprattutto sul ruolo di Arafat

Testata: La Stampa
Data: 07 giugno 2003
Pagina: 1
Autore: Enzo Bettiza
Titolo: «L'audace sfida di Bush»
"L'eliminazione di Arafat dal circuito della corsa diplomatica fa sperare bene", proprio così dice Enzo Bettiza nel suo editoriale in prima pagina sulla Stampa del 7.6.2003 e che riproduciamo interamente.
Come la mettiamo con Igor Man che dice il contrario ?
Ecco una domanda che passiamo ai nostri lettori affinchè la inviino alla Stampa.

LE cronache di politica estera vanno ormai al galoppo. L'accelerazione dinamica e a suo modo rivoluzionaria, impressa dall'amministrazione Bush agli eventi, ha assunto una dilatazione intercontinentale che s'è rispecchiata in modo esemplare nelle tappe del vorticoso periplo geopolitico del presidente.
A Cracovia George W. Bush ha elevato la Polonia al rango di alleata privilegiata degli Stati Uniti in Europa e nel Medio Oriente. Alle celebrazioni del tricentesimo anniversario di San Pietroburgo, Bush ha poi cercato di rinverdire il clima d'intesa strategica con Putin e di frenare il deviante giro di danza dell'orso russo con Madame la France. Nella brevissima sosta per il G8 a Evian ha teso platealmente una mano a Chirac, lasciando alla sferzante Condoleezza Rice il compito di censurare, dietro le quinte, «l'incomprensibile atteggiamento di chi prima e durante la guerra sembrava più vicino all'Iraq di Saddam Hussein che all'America». A Sharm El Sheik ha raccolto intorno alla politica americana i capi dei governi arabi moderati, attanagliati da un lato dalla paura del terrorismo e, dall'altro, dal timore della democrazia che Washington vorrebbe esportare dall'Iraq verso altri Stati islamici. Infine, la spettacolare scena terminale di Aqaba: un gran colpo di teatro e d'immagine che, sotto la ferma bacchetta pacificatrice di Bush, ha visto il più duro dei governanti israeliani auspicare l'avvento di un autonomo Stato di Palestina, e il più moderato dei nuovi esponenti palestinesi dichiarare che l'Intifada armata ha recato gravissimi danni e ritardi alla causa del suo popolo.
Il tour è sembrato scritto da esperti sceneggiatori hollywoodiani ed è stato recitato da Bush con la perizia e la disinvoltura di un consumato attore. Un attore anche guerriero e messianico che comunque non ha mai dimenticato, correndo, stringendo mani, invocando la «misericordia di Dio», lusingando e stringendo da presso partner europei e islamici, di essere un presidente candidato per la probabile rielezione del 2004. La partitura di Washington aveva l'Europa come pista per un nuovo decollo multilaterale, che includa a fianco dell'Italia e della Spagna anche le giovani democrazie dell'Est, e il Medio Oriente come definitiva pista d'atterraggio di un nuovo coinvolgente dinamismo imperiale, che potremmo definire oggettivamente unilaterale. Sono stati infatti gli stessi israeliani e arabi che, diffidando delle debolezze europee e delle confusioni burocratiche e moraleggianti dell'Onu, hanno preferito conferire al pilota americano la patente dell'unico credibile mediatore della «road map». Al tempo stesso il medesimo Bush mostra di avvertire benissimo che pure l'occasione è unica e irripetibile. Egli, incalzato dalle fibrillazioni elettorali già vivide in America, appare determinato nella volontà di condurre in porto a ogni costo, e al più presto possibile, una vistosa e storica operazione di pace dopo l'operazione di guerra in Iraq.
Ma la battaglia per la pace in Palestina sarà senz'altro più dura e più lunga della non battaglia vinta praticamente senza colpo ferire in Iraq. Ebrei ed arabi, avviati lungo l'autostrada della pace, raggiungeranno questa volta davvero, dopo mezzo secolo di guerre calde e gelide, il traguardo già vanamente indicato e imposto da altre amministrazioni americane e mai raggiunto dai contendenti? L'eliminazione di Arafat dal circuito della corsa diplomatica fa sperare bene; ma soltanto sperare. La realtà di fondo è che i due protagonisti principali del negoziato, Sharon e Abu Mazel, sono personaggi a rischio nelle rispettive patrie: l'uno considerato ormai «traditore» dagli integralisti dell'insediamento ebraico nei luoghi biblici, l'altro considerato altrettanto «traditore» dai fautori della guerra santa antigiudaica. Quella di Bush è un'audace corsa contro il tempo e una temeraria sfida contro due fanatismi millenari. La sua recita è ottima, ma lo happy end resta ancora lontano.



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