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La Stampa Rassegna Stampa
18.10.2023 Putin e Cina difendono Hamas
Commento di Anna Zafesova

Testata: La Stampa
Data: 18 ottobre 2023
Pagina: 7
Autore: Anna Zafesova
Titolo: «Putin e Xi corteggiano gli arabi per mettere alle corde l'Occidente»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/10/2023, a pag.7 con il titolo 'Putin e Xi corteggiano gli arabi per mettere alle corde l'Occidente' l'analisi di Anna Zafesova.

Anna Zafesova | ISPI
Anna Zafesova

Putin could be out of power within a year, says ex-British spy - here's how  | World News | Sky News
Vladimir Putin

Vladimir Putin esce finalmente dal suo isolamento internazionale e si gode un tuffo nella diplomazia di alto livello a Pechino, che per averlo al suo vertice dell'iniziativa "Belt and Road" ha garantito che non avrebbe prestato attenzione al mandato di cattura internazionale emesso dal Tribunale internazionale dell'Aja. È la prima volta in quasi un anno che il presidente russo abbandona i confini dell'ex Urss per calcare un palcoscenico globale di prima grandezza, dopo l'umiliazione della partecipazione al vertice dei Brics in teleconferenza, e nonostante piccoli e spiacevoli sgarbi diplomatici – ad accoglierlo all'aeroporto è stato mandato soltanto il ministro del Commercio cinese e le televisioni di Stato di Pechino gli hanno dedicato relativamente meno spazio rispetto ad altri ospiti soprattutto asiatici – Putin ha sfoggiato a Pechino un'espressione visibilmente soddisfatta. La sua agenda è piena: ha rievocato la Leningrado della sua giovinezza con il leader del Laos che aveva studiato in Unione Sovietica, promesso grano russo al Pakistan, tenuto colloqui con il premier thailandese e il presidente della Mongolia che l'hanno entrambi invitato a visitare i loro Paesi. Non può nemmeno lamentarsi di essere stato emarginato all'Asia: le scene di abbracci e pacche sulle spalle tra i componenti della delegazione russa e quella ungherese sono state la manifestazione di un'intesa che Viktor Orban – l'unico europeo al vertice di Pechino – ha dichiarato di voler salvare a tutti i costi: «L'Ungheria non ha mai voluto contrapporsi alla Russia». Una dichiarazione possibile forse soltanto a Pechino, così come la foto del premier ungherese che stringe la mano al presidente russo, unico politico europeo ad aver fatto un gesto simile dopo l'invasione dell'Ucraina. Per Putin è la dimostrazione di quello che sostiene da sempre la sua propaganda, che gli europei in realtà non vedono l'ora di negoziare e tornare a fare affari con Mosca, che potrebbe quindi sperare di uscire dall'isolamento. Mosca vede la crisi mediorientale come una occasione di rientrare nei giochi, come aveva già provato a fare all'epoca della Siria e della guerra all'Isis, spingendo in secondo piano l'Ucraina. Una necessità che si presenta anche sul piano interno: lo scontento dei falchi per l'andamento della guerra sta tornando evidente, e l'esordio clamoroso dei missili Atacms forniti dagli americani, nell'attacco a due aeroporti nei territori ucraini occupati, minaccia scenari che per Mosca non sarà facile gestire anche sul piano dell'immagine. E così Putin si presenta a Pechino fresco di telefonate con i leader di Damasco, di Teheran e del Cairo, oltre che con Abu Mazen e Benjamin Netanyahu, promettendo di affrontare la questione Gaza anche con i padroni di casa cinesi. Che all'Onu si sono alleati con la Russia, sostenendo un progetto di risoluzione che il Consiglio di Sicurezza ha però respinto con i voti degli americani, dei francesi, dei britannici e dei giapponesi, anche perché l'appello alla de-escalation contenuto nel documento non era accompagnato da una condanna dell'attacco di Hamas. Un segnale inequivocabile di come Mosca abbia perso il vantaggio della "equidistanza", almeno dichiarata, per partecipare a uno dei due schieramenti nei quali la platea internazionale sembra spaccarsi. La telefonata a Netanyahu soltanto nove giorni dopo l'attacco a Israele, e l'assenza di una condanna del raid di Hamas – che Putin ha commentato come una dimostrazione del «fallimento della politica americano» – sono una presa di posizione che non sfuggirà all'opinione pubblica dello Stato Ebraico. Una scelta che non solo limita il potenziale già ridotto delle manovre diplomatiche di Putin, ma che va contro quella che molti analisti ritengano essere la sua scommessa principale: resistere al fronte fino al ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, contando in uno stop degli aiuti americani a Kyiv. Il campo dei repubblicani è schierato con Israele, e le scelte filocinesi e filopalestinesi di Putin difficilmente potranno piacere alla destra americana ed europea. È vero però anche che Mosca non ha un grande margine di manovra: dipende dall'Iran per forniture militari cruciali di droni e altro materiale bellico, e dipende dalla Cina praticamente su tutto il resto. Le lodi cantate da Putin al «grande leader mondiale» Xi Jinping e l'ammirazione espressa ieri per le automobili cinesi – le cui vendite sono quintuplicate in Russia, essenzialmente come conseguenza dell'uscita dal mercato russo dei marchi occidentali, giapponesi e sudcoreani – danno la misura della posizione fragile dell'ospite moscovita, anche se al banchetto serale il protocollo di Pechino ha deciso di concedergli l'onore di entrare nella sala per primo a fianco di Xi.

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