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La Stampa Rassegna Stampa
05.06.2003 Una prosa contorta
I lamenti del vedovo numero uno di Arafat

Testata: La Stampa
Data: 05 giugno 2003
Pagina: 1
Autore: Igor Man
Titolo: «Il momento della verità»
Di solito facciamo molta fatica a leggere e seguire il pensiero di Igor Man, e oggi le sue parole sono ancora più contorte.
IL destino storico degli Stati Uniti è strettamente legato al cosiddetto problema mediorientale. Il presidente Bush mostra d’averlo (finalmente) capito. La facile vittoria armata in Iraq potrebbe tramutarsi in una débâcle politica se il presidente non riuscisse, sull’onda del successo bellico, a trasformare l’Iraq in un laboratorio di democrazia. Da esportare per sano contagio nell’intera area mediorientale.
Facile vittoria? Le previsioni di Igor Man erano tutte diverse prima del risultato! Il Medio Oriente in fiamme ce lo ricordiamo benissimo
Da sincero credente qual è, Bush non può non volere la pace e se è vero che le sue letture quotidiane sono quelle del baseball è del pari vero ch’egli cerchi ispirazione nella lettura, anch’essa quotidiana, della Bibbia. Ma fare la guerra è terribilmente facile, specie se si è fortissimi come lo sono gli Stati Uniti, più difficile è fare la pace. Strattonata da un presente instabile, povero di valori, irto di difetti socioeconomici, l’immensa massa umana che s’aggruma intorno all’arida terra «dove sono i leoni», privilegiando il petrolio che muove la macchina del progresso, spesso, troppo spesso, trascura il fatto che in un angolo, invero piccino, di quell’area così preziosa, ci sia un luogo chiamato Palestina: Terra davvero Santa poiché è laggiù che dalle pietre sono nate le tre Grandi religioni monoteiste. E quella più legata alla terra è la religione ebraica.
Igor Man ha le sue tre idee fisse da cui non vuole liberarsi: Bush e la sua Bibbia, il petrolio e la Terra Santa.
In quanto Bush, non ci sembra sia arrivato ad Aqaba armato di Bibbia. Se l'aveva, nessuno gliel'ha vista.
Igor Man ce la mena di nuovo con il petrolio come scusa per la guerra all'Iraq, quando sappiamo tutti che non è andata così.
Ed infine, la pianti lì di fare il parroco-muezzin con questa storia della Terra Santa. Riservi questa lagna agli articolo che fa per Famiglia Cristiana. Ad Aqaba si è parleto di Israele e Plaesdtina mai di Terra Santa.

In quest’ottica, gli insediamenti definiti «illegali» non soltanto dai palestinesi ma altresì da non poche risoluzioni dell’Onu (rimaste sulla carta), per gli ebrei «saliti» in Palestina, per gli israeliani, «illegali» non lo sono affatto. Epperò, dice oggi Sharon, «Israele è uno Stato di diritto» che, come tale, può addossarsi sacrifici invero dolorosi. Può, appunto, smantellare gli insediamenti «non autorizzati». Il territorio così bonificato potrebbe ospitare uno Stato palestinese autonomo.
Gli ebrei salgono in Israele (vuole, per favore, chiamarlo con il suo nome), la parola "salire" viene da un verbo ebraico che non tutti conoscono e quindi si può facilmente fraintendere: per gli ebrei il ritorno in Israele è considerata una salita.
Se Igor Man scrivesse meno "invero" e si esprimesse con più chiarezza avrebbe dovuto dirci che Sharon capo del Likud si è incontrato con Abu Mazen per porre fine al conflitto. Tutto qui, molto semplice, ma a Igor Man, vedovo di Arafat, non gli vanno bene nè Sharon nè Abu Mazen. Invero.


Bush con la sua roadmap vuole aprire una nuova via verso la pace. Ed è normale che la dirigenza palestinese (ufficialmente rappresentata da Abu Mazen) veda anch’essa nella roadmap l’uscita di sicurezza da una non più sostenibile condizione di vita. Come dice Giovanni Paolo II, in un viale senza uscita, l’uscita è nel viale stesso.
Anche il Papa no, per favore! Proprio non riesce a tenere da parte certe sue massime che non c'entrano.
Confessiamo a Igor Man che cominciamo a sentire nostalgia per le citazioni conclusive del Corano, a meno che quelle che lui definisce semita, e noi modestamente ignoranti non lo sappiamo, provenga proprio da lì. Ma allora non ci privi del numero del versetto e ci dica pure che Sura è.

Bush ha colto il senso profondo di questa realtà paradossale, ed eccolo partire alla carica: come un torello texano, forte e impaziente. Tanto forte da far riflettere un centurione qual è Sharon, e quel Mister Palestina che americani e israeliani hanno scacciato in cantina dopo avergli addossato tutte le colpe possibili, dalla «irrilevanza» alla «complicità» col terrorismo. Ma Abu Mazen ha accettato la roadmap «in perfetto accordo con Arafat».
L’incontro di Aqaba non ha risolto nulla (né mai s’è pensato che fosse risolutivo) ma certamente è un nuovo approccio - realistico, fattuale - alla annosa questione mediorientale. «Sono pronto a farmi da parte per il bene del mio popolo», ha detto Arafat che il summit questa volta ha dovuto vederlo alla tv.
Ah, il vedovo quanto soffre! Che Arafat si sia fatto da parte per il bene del suo popolo soltanto il suo celebratore ufficiale Igor Man poteva scriverlo. Potrebbe anche contraddirsi meno Aqabq non è servito a nulla come lui dice, oppure è stato un incontro realistico, quindi positivo.
E non rinuncia nemmeno ai suoi luoghi comuni: è solo grazie ad essi se riesce a riempire una parte dell'articolo.

E Sharon gli ha fatto eco riconoscendo che «l’occupazione militare non è più praticabile». «Il viaggio che stiamo intraprendendo è difficile, ma non c’è altra scelta», ha infine detto Bush. Sognando la pace che (forse) verrà, vorremmo ricordare un antico detto semita: «Affrettati lentamente». L’ora della verità è ancora lontana e ci si arriva passo dopo passo.
Il nostro ci sveli il mistero, è o non è una Sura? A noi, "semita" non basta.
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