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Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.06.2003 Sharon costruttore di trappole
Così lo vede Sergio Romano

Testata: Corriere della Sera
Data: 05 giugno 2003
Pagina: 1
Autore: Sergio Romano
Titolo: «I coloni, il muro, la prova di Bush»
Il lettore ha il diritto di fare qualche osservazione e di porre alcune domande. Può osservare che la «carta stradale», approvata da palestinesi e israeliani, è soltanto l’ultimo di una lunga serie di piani di pace. Perché dovrebbe essere più decisivo degli accordi di Oslo (1993) o di quelli della Wye Plantation (1998) con cui un primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, sembrò rinunciare alle posizioni ostili dei mesi precedenti? Può constatare che il vertice di Aqaba non è la prima occasione in cui il presidente americano è regista di un incontro fra un premier israeliano e un leader palestinese. Perché dovrebbe contare più del vertice di Camp David, miseramente fallito alla fine del 2000? Esistono ragioni che rendono questo piano e questo incontro più importanti degli altri? Siamo a una svolta storica o all’ennesima tappa di un processo ingannevole in cui le parti s’incontrano per meglio attribuirsi a vicenda la responsabilità del fallimento e conquistare così le simpatie internazionali? Cercherò di rispondere soprattutto all’ultima domanda. Nel 2000, quando chiamò a Camp David i suoi due interlocutori, Barak e Arafat, Clinton era alla fine del secondo mandato. Non poteva essere rieletto, ma voleva passare alla storia come il grande pacificatore della Palestina. E si buttò in un negoziato estenuante che si concluse con il no di Arafat, la provocatoria passeggiata di Sharon sulla spianata delle moschee e la nuova Intifada. Oggi Bush è a metà del primo mandato. Vuole certamente passare alla storia, ma ha un obiettivo più vicino e vitale: vuole vincere le presidenziali del 2004. Mentre Clinton correva il rischio di mancare l’appuntamento con la storia, il suo successore può perdere il potere arrivando al voto nelle condizioni di colui che si è impegnato in un’operazione fallimentare. Non è tutto. Il coinvolgimento diretto di un presidente americano nella questione palestinese è esattamente ciò che l’amministrazione repubblicana, sino a qualche mese fa, aveva trattato, con ironia e scherno, alla stregua di un esercizio inutile. In altre parole Bush contraddice se stesso e imita il suo predecessore. L’incontro di Aqaba diventa così un temibile esame di passaggio. Se ha deciso di affrontarlo, Bush avrà le sue buone ragioni. E noi abbiamo qualche buona ragione per sperare.

Sergio Romano si è posto molte domande, e ci informa del suo pensier rispondendo soltanto all'ultima. Come sempre, critica Bush per la sua politica di intervento sulle questioni mediorientali criticandolo per la sua legittima aspirazione ad essere rieletto con un secondo mandato.
Restano alcuni interrogativi. Il primo concerne il primo ministro palestinese Abu Mazen e la sua capacità d’imporre ai suoi la fine del terrorismo. Il secondo concerne Sharon e le sue intenzioni. Ha riconosciuto che Israele, nei territori palestinesi, è una potenza occupante. Ma uno dei migliori commentatori americani, Henry Siegman, si è chiesto nel New York Times se il premier israeliano non abbia teso una trappola al presidente americano. Il problema non è soltanto quello dei coloni ebrei in territorio palestinese (un punto su cui la «carta stradale» è molto ambigua), ma anche quello del muro che gli israeliani stanno costruendo fra le due comunità: un nuovo sipario di ferro che distrugge, secondo il giornale di Gerusalemme Haaretz , «migliaia di acri di fertile terra palestinese, cruciali per l’economia del nuovo Stato».

Ci sembra strano che Sergio Romano veda in Sharon l'ideatore di una trappola quando il progetto del muro divisorio nacque non certo in seno al Likud ma nell'ambito della sinistra.
Fu una proposta di A. B. Yehoshua uno dei più famosi scrittori israeliani appartenente alla sinistra.

Non basta quindi presenziare al colloquio. Occorre che il presidente americano abbia il coraggio di essere veramente mediatore, con l’equilibrio, l’imparzialità e la lungimiranza necessari alla funzione. Può giocare una carta. Può dire agli israeliani che la nuova situazione mediorientale, dopo la guerra irachena, rende il loro Stato molto più sicuro del passato e dovrebbe indurli ad abbassare la soglia delle loro esigenze. Sapremo nelle prossime settimane con quanta energia Bush sia disposto a buttarla sul tavolo.
Non si può abbassare la soglia delle esigenze senza avere l'assoluta conferma delle intenzioni di Abu Mazen e dei successi che la lotta al terrorismo potrà portare.
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