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La Repubblica Rassegna Stampa
07.10.2023 Dalle carceri degli ayatollah
Commento di Francesca Caferri

Testata: La Repubblica
Data: 07 ottobre 2023
Pagina: 2
Autore: Francesca Caferri
Titolo: «Nobel dissidente. La battaglia di Mohammadi per l’Iran libero»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 07/10/2023, a pag.2 con il titolo "Nobel dissidente. La battaglia di Mohammadi per l’Iran libero" l'analisi di Francesca Caferri.

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Francesca Caferri

Il Nobel per la Pace all'attivista iraniana Narges Mohammadi | Il Foglio
Narges Mohammadi

«Non smetterò mai di lottare per la democrazia, la libertà e l’uguaglianza in Iran, anche se trascorrerò il resto della mia vita in prigione ». L’impegno di Narges Mohammadi arriva al mondo attraverso un messaggio consegnato ai familiari appena pochi minuti dopo che l’accademia di Oslo ha annunciato di averle conferito il premio Nobel per la pace 2023. «Resterò in Iran al fianco di tutte le coraggiose mamme e donne iraniane – promette dalla sua cella del carcere di Evin, a Teheran — contro la discriminazione, la tirannia e l’oppressione di genere del regime religioso finché non saremo libere. Il Premio Nobel mi renderà più resiliente, più determinata, più ottimista e più entusiasta in questo percorso». Mohammadi è la coraggiosa paladina dei diritti umani, civili e politici in Iran, che da un decennio entra ed esce dal carcere. Nel novembre scorso è arrivata l’ultima di una serie di condanne dopo un breve processo: aveva partecipato con un piccolo gruppo di attivisti a una commemorazione per i morti delle proteste del 2019, il bloody aban, il novembre di sangue. Pena pesante: dieci anni di reclusione per propaganda contro lo Stato, poi altri due per l’accusa di lavorare contro la sicurezza nazionale. Ma il suo carisma da vera leader non ne ha risentito: anzi, a lei si sono ispirati i giovani che un anno fa, dopo la morte di Mahsa Amini avvenuta dopo l’arresto da parte della polizia morale, sono scesi in piazza per chiedere giustizia, verità, la fine della Repubblica Islamica per costruire un nuovo regime politico democratico. Il regime ha risposto con una repressione brutale, più di 500 morti e 20mila arresti, torture e abusi in carcere denunciati dai pochi avvocati ammessi ad assistere i loroclienti. Anche in questo caso Mohammadi non ha taciuto, denunciando dal carcere di Evin le aggressioni sessuali subite dalle manifestanti per costringerle al silenzio. «Non ho mai visto così tante nuove ammissioni nel nostro reparto come negli ultimi cinque mesi”, ha scritto un mese fa in una lettera alNew York Times . “Ma più ci rinchiudono più diventiamo forti». Nata 51 anni fa in una famiglia di classe media a Zanjan, nel Nord Ovest dell’Iran, ha cominciato da bambina a conoscere il mondo dell’attivismo: Narges ha appena 8 anni quando uno zio e due cugini vengono arrestati dopo la rivoluzioneislamica del 1979. Le resta impressa l’immagine di sua madre che ogni settimana andava a far visita al fratello in prigione: forse è proprio in quel momento che comincia a prendere forma la sua coscienza politica. Studia fisica nucleare all’università di Qazvin, fonda gruppi di impegno femminile, scrive per alcuni giornali riformisti. A Qazvin, durante una lezione clandestina sull’attivismo civile, incontra Taghi Rahmani, giornalista dissidente e futuro marito. Prima di lasciare il Paese e rifugiarsi a Parigi con i loro due gemelli, Rahmani ha trascorso 14 anni in carcere. I figli, Ali e Kian, oggi sono diciassettenni, Narges — che non ha mai voluto lasciare l’Iran — non li vede da otto anni. Nell’ultima lettera prima di lasciarli andare, scrisse: «Amatissimi Ali e Kiana, avete il diritto di non vivere in un Paese in cui i suoi leader non riconoscono la vostra infanzia e persistono nel ferire il vostro spirito puro. Forse in un’altra terra troverete pace e sicurezza anche in mia assenza». Narges comincia nel 2003 a lavorare con il Centro dei difensori dei diritti umani di Teheran fondato dalla Nobel Shirin Ebadi, ne diventa il braccio destro, scende in piazza con il grande movimento riformista dell’Onda verde nel 2009. Arrivano le prime condanne e gli arresti, nel 2011, nel 2015, ma continua a battersi contro la pena di morte e per i diritti civili, credendo nelle riforme. Ilbloody aban segna un punto di non ritorno. L’avallo dell’ex governo moderato di Rouhani alla repressione delle piazze azzera in molti riformisti la speranza che il sistema possa cambiare dall’interno. Quando iniziano le manifestazioni per Mahsa Amini, Mohammadi organizza sit-in e proteste in carcere, raccoglie le testimonianze delle ragazze aggredite. A marzo, per il capodanno persiano, registra un messaggio audio con un gruppo di detenute a sostegno del movimento Donna- Vita-libertà, in cui dice che il cambiamento “è irreversibile”. I suoi figli potranno sentirla forse solo oggi, nel giorno concesso alle detenute per chiamare i familiari, e condividere con lei la gioia per il Nobel. «Un premio che riconosce anche le centinaia di migliaia di persone che, nell’ultimo anno, hanno manifestato contro le politiche di discriminazione e oppressione del regime teocratico iraniano nei confronti delle donne», scrive il comitato di Oslo.

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