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La Repubblica Rassegna Stampa
05.10.2023 L’Italia frena sulle armi all’Ucraina
Cronaca di Tommaso Ciriaco, Gianluca Di Feo

Testata: La Repubblica
Data: 05 ottobre 2023
Pagina: 19
Autore: Tommaso Ciriaco, Gianluca Di Feo
Titolo: «'Mancano le risorse e il consenso'. l’Italia frena sulle armi all’Ucraina»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 05/10/2023, a pag.19, con il titolo ' 'Mancano le risorse e il consenso'. l’Italia frena sulle armi all’Ucraina', la cronaca di Tommaso Ciriaco, Gianluca Di Feo.

Dai missili Stinger ai mortai, dall'Italia armi per 150 milioni all'Ucraina

Una gigantesca partita politica e diplomatica attorno all’ottavo pacchetto di aiuti militari a Kiev. Si sta giocando in queste ore, sottotraccia. Ma ha già spaccato il governo e rischia di complicare i rapporti con i partner occidentali. Le nuove forniture arriveranno, ma soltanto a ridosso di Capodanno. E soprattutto: senza soddisfare alcune delle richieste di Zelensky. Quali? Gli ucraini chiedono componenti di ricambio e missili che “alimentano” lo scudo aereo Samp-T. Premono per ottenere sistemi di guerra elettronica per bloccare i droni russi. E sono in pressing sull’Italia – come conferma a sera il ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov – per ottenere forniture di missili a lungo raggio. Sono i temibili Storm Shadow, a disposizione di Roma. Armi capaci di colpire, ad esempio, la Crimea. Ecco la vera posta in gioco. Vale la pena raccontarla, partendo dalla fine. Ieri sera, poco prima di cena. Giorgia Meloni va in tv e usa parole nuove, per certi versi inedite. Intervistata da SkyTg24 , lascia cadere una frase decisiva. «Sugli aiuti siamo sempre stati al fianco dell’Ucraina. Ed è quello che continueremo a fare, compatibilmente con le richieste che arrivano e con la necessità di non sguarnire e non compromettere la nostra sicurezza. Ci sta lavorando la Difesa ». È davvero così, ma segnala un problema: la premier vuole garantire nuovi aiuti, anche perché non intende arretrare rispetto agli impegni con la Casa Bianca e la Nato. Ma è anche alle prese con una serie di ostacoli interni e internazionali. Resi ancora più espliciti, nelle stesse ore, da Guido Crosetto: «L’Italia – ricorda il ministro della Difesa – ha puntato molto sui sistemi di difesa antiaerea per fermare gli attacchi sulle città. Il problema è che non abbiamo risorse illimitate, abbiamo fatto quasi tutto ciò che si poteva fare, non esiste molto ulteriore spazio». Ma non basta. Il ministro conferma le tensioni con la Farnesina e frena sulla portata degli aiuti militari: «L’ottavo pacchetto? Tajani ha parlato della scelta politica. Poi c’è quella tecnica, per vedere cosa siamo in grado di dare senza mettere in pericolo la Difesa italiana ». Ecco il punto: l’Ucraina ha chiesto materiale che Roma ha difficoltà a concedere. Per ragioni di sicurezzanazionale, ufficialmente. Ma anche per evidenti difficoltà politiche e finanziarie. Di cosa si tratta? Partiamo dai Samp-T. Il sistema necessita di una manutenzione costante e utilizza missili Aster 30 – ognuno costa due milioni di euro – che gli ucraini lanciano in quantità. Italia e Francia ne hanno forniti alcune decine. Roma ne ha a disposizione pochi e i nuovi ordini non saranno disponibili prima di un paio d’anni. Kiev chiede inoltre sistemi di guerra elettronica, fondamentali per bloccare i droni nemici: gli italiani ne hanno in magazzino pochissimi. Infine, la questione dei missili a lungo raggio. È il vero dilemma, politico e diplomatico. La Difesa possiede missili aria-terra Storm Shadow, protagonisti degli ultimi attacchi sulla Crimea che hanno portato alla distruzione del comando della Marina russa. Solo Francia e Regno Unito li hanno inviati in Ucraina, ma in numero limitato. La Germania darà la sua versione “Taurus”. L’Aeronautica ne ha a disposizione duecento, ma difficilmente intende privarsene. E poi, oltre al costo (tre milioni ciascuno), bisogna rispondere al quesito più delicato: davvero Roma vuole entrare nella partita degli attacchi in un territorio che i russi considerano proprio? Tajani e Crosetto, ad esempio, hanno sempre messo l’accento sulla presunta natura “difensiva” delle armi garantite a Kiev. Ragioni politiche, finanziarie, di sicurezza nazionale: ecco dunque gli ostacoli di queste ore. La Difesa, come detto, insiste soprattutto sulla necessità strategica di non sguarnire i magazzini delle forze armate. È un problema, ma non sembra l’unico. Il nodo finanziario appare altrettanto decisivo. Non è facile, per Palazzo Chigi, impegnarsi in nuove costose spedizioni mentre è in discussione una manovra d’austerità, che taglia settori chiave come la sanità. Meloni e Crosetto, d’altra parte, consigliavano da mesi ai colleghi dell’esecutivo un basso profilo sul dossier delle armi. E non hanno gradito l’annuncio di Tajani sull’ottavo pacchetto. Ma è la politica, forse, a prendere il sopravvento in queste ore. La guerra è sempre meno popolare. E Meloni, che ha tenuto per un anno dritto il timone sul sostegno a Kiev, deve iniziare a fare i conti anche con il consenso in vista delle Europee. E così, dopo aver premesso che «il sostegno rimane immutato », sceglie parole che non si ascoltavano da mesi: «Con Biden e gli alleati ho posto i problemi dell’inflazione, dell’energia e delle migrazioni, che sono conseguenze del conflitto. Impattando sui cittadini rischiano di generare una stanchezza nell’opinione pubblica. Dobbiamo fare attenzione». Non significa che Palazzo Chigi ha scelto di interrompere il sostegno militare. Ma è abbastanza per alimentare i dubbi di un senatore dem vicino alla causa di Kiev, Filippo Sensi: «Non mi piace l’aria che tira nel governo sull’Ucraina, il bisticcio tra Crosetto e Tajani, una certa patina anche nelle parole di Meloni. Il sostegno non può vacillare sull’altare delle Europee». D’altra parte, basta un dettaglio. Ieri, alle 16, Matteo Salvini cammina veloce in piazza del Parlamento. «Ministro, la Lega sosterrà un nuovo decreto armi?». Domanda ripetuta una, due volte. Risposta? Silenzio, ostentanta indifferenza. E uno sguardo che guarda altrove.

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