Iran: massacrata dalla ‘polizia morale’ Cronaca di Caterina Soffici
Testata: La Stampa Data: 05 ottobre 2023 Pagina: 18 Autore: Caterina Soffici Titolo: «Un'altra Mahsa»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/10/2023, a pag.18 con il titolo "Un'altra Mahsa" l'analisi di Caterina Soffici.
Armita Geravand
Armita Geravand, 16 anni, studentessa di Teheran, è in coma. La testa fracassata, perché girava senza il velo. Un anno dopo la morte di Mahsa Amini, che ha dato il via alle proteste in Iran e al movimento Donna Vita Libertà, il copione è lo stesso e la storia sembra ripetersi. Ancora nelle strade di Teheran la polizia presidia e minaccia, per paura che questo nuovo episodio di violenza riaccenda la miccia delle proteste, che si sono affievolite, ma mai sopite. Armita, occhi scuri e capelli corti, uno sguardo intenso e quasi di sfida. Lo sguardo duro che sembra di donna, ma è solo una ragazzina. E come le altre coraggiose che combattono contro questa apartheid delle donne in Iran, non si è più rimessa il velo. Ora di quel volto non si sa cosa sia rimasto. Sui social sono state postate le foto di Armita intubata in ospedale con la testa fasciata, accanto alla foto di Mahsa nella stessa condizione. E gira un video dove si vedono alcune ragazze che trascinano un corpo privo di sensi fuori da un vagone della metropolitana. Una giornalista ricostruisce la vicenda: sono le 7 di mattina e Armita sta andando a scuola con le compagne. Non porta il velo, come ormai quasi tutte le ragazze di Teheran, che si rifiutano di sottostare alla legge islamica che lo impone. Ma la polizia morale non perdona: la colpiscono, o la sbattono a terra, e la ragazza entra in coma. I genitori, alla solita agenzia di stampa di regime Fars, assecondano la versione ufficiale: Armita ha avuto un calo di pressione, è caduta e ha sbattuto la testa. Il padre ha dichiarato di aver visionato i video della metropolitana e che questo è successo. Lo stesso era stato detto di Mahsa: era malata di cuore, è caduta e ha sbattuto la testa. Tutti sanno qual è invece la verità. E, infatti, la giornalista che indagava sull'episodio è stata arrestata. Come altre prima di lei, perché in prima linea sono quasi sempre le donne. Le prigioni sono piene di persone che hanno manifestato e sono scese in piazza contro il regime. I numeri di un anno di repressione del brutale regime di Ali Kahmenei è di 600 morti (di cui 79 minorenni) e oltre 22 mila arresti. Armita chiama Mahsa e un anno dopo sembra lo stesso copione, ma la storia non si ripete mai uguale a sé stessa. Dal 16 settembre del 2022 sono accadute tante cose, in Iran. Le abbiamo raccontate con testimonianze dirette e riportando le notizie che arrivano in occidente grazie all'opera di attivisti per i diritti umani e delle ong sul territorio. Non è facile, perché il regime entra nelle case, stupra le ragazze in carcere, terrorizza le famiglie, «non le fate uscire che poi succede anche a loro», controlla e blocca internet. Nei giorni attorno all'anniversario della morte di Mahsa Amini c'è stato un enorme dispiegamento di forze di polizia, allertate per prevenire altre rivolte. Hanno sparato sulla folla scesa in piazza a Teheran, rastrellato e arrestato. Le manifestazioni di solidarietà in tante capitali del mondo (anche a Roma, e La Stampa c'era) non intimoriscono il regime, ma almeno sono un modo per fare arrivare un messaggio di solidarietà, a far capire a queste coraggiose combattenti per la libertà che non sono sole. Perché quello che è cambiato, in questo anno, è che non è più soltanto una rivolta politica o religiosa, e che non riguarda più soltanto le donne, ma è una battaglia per i diritti umani. Per questo i focolai di resistenza sono vivi soprattutto tra i giovani, le università e gli studenti rimangono il motore della rivolta. Le ragazze si sono tagliate i capelli in diretta, abbiamo visto le bende sugli occhi delle giovani donne a cui le milizie del regime hanno sparato con l'intento di accecare. Di fronte a tali violenze, è difficile continuare a protestare. Ma la gente trova lo stesso il modo per boicottare il regime. Ci sono molti scioperi e serrate di negozi. La musica, soprattutto, fa paura al regime, perché la vieta, ma non può fermarla. La musica e l'arte sono veicoli potenti. La rivoluzione continua a uscire dalle maglie della repressione con canzoni come "Baraye" di Shevin Hajipour, che ha vinto il Grammy Award o come "Ma Edame Darim" del rapper Hichkas. Nuove forme e nuovi strumenti per esprimere il dissenso, come il video dell'artista Bahador Hadizadeh, autore del video "Breeze of Freedom", nel quale la Torre Azadi di Teheran è adornata con una chioma al vento, simbolo dei capelli delle donne non contenuti dal velo. Azadi significa Libertà.
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