A trent’anni da Oslo: perché era giusto e necessario dire sì Analisi di Sergio Della Pergola, da Israele.net
Testata: israele.net Data: 04 ottobre 2023 Pagina: 1 Autore: Sergio Della Pergola Titolo: «A trent’anni da Oslo: perché era giusto e necessario dire sì»
A trent’anni da Oslo: perché era giusto e necessario dire sì
Analisi di Sergio Della Pergola, da Israele.net
Sergio Della Pergola
Bill Clinton tra Rabin e Arafat a Oslo
Del senno di poi ne sono piene le fosse. È facile oggi criticare gli Accordi di Oslo sulla base di quello che sappiamo ora, ma non sapevamo allora. Ma sono veramente falliti gli accordi di Oslo? Quali erano le alternative? All’epoca, in tempo reale, la proposta politica appariva dignitosa e ragionevole, anche se ardita e complessa – non meno degli accordi di pace con l’Egitto raggiunti dall’amministrazione di Menahem Begin nel 1979. Non era stato valutato sufficientemente nel 1993, è vero, il fatto che Arafat era un ripugnante mestatore, un bugiardo patologico e un incorreggibile terrorista. Si era scelta invece la via (e il rischio) di dare fiducia alla controparte. La medesima scelta era stata fatta anni prima nei confronti di Anwar Sadat, che però si rivelò controparte affidabile, e pagò con la vita il suo accordo con Israele, che resiste a tutt’oggi. Nel caso dell’Autorità Palestinese, la via del dire no a tutto era la più facile. A questo però si aggiungevano le pulsioni messianiche (che erano assenti nel caso dell’Egitto) secondo cui “tutto il Territorio è nostro e ci è stato dato da Dio, e pertanto non si può concedere neanche un millimetro di terra alla parte avversaria”. Su questo fatto si articola un grande dibattito sulla natura dello stato di Israele, di cui vediamo le manifestazioni ancora ai giorni nostri: è Israele una creatura metafisica di ispirazione Divina, con sue proprie regole autosufficienti e isolate dal resto del mondo? Oppure Israele è uno stato moderno sovrano che deve tenere conto anche delle esigenze del Diritto internazionale? Su questa questione, il manifesto sionista di Basilea del 1897 non lascia dubbi: “Lo Stato ebraico verrà creato in armonia con il Diritto internazionale”. È dunque su questo piano di gestione pragmatica, e non mistica, che si svolge e deve svolgersi la politica di Israele, inclusa la soluzione del contenzioso con i suoi vicini e nemici. Gli Accordi di Oslo andavano in questa direzione e intendevano portare un contributo alla stabilizzazione definitiva della regione e alla definizione delle frontiere dello stato di Israele. Ovviamente, se non si prova a tentare la pace, questa non arriverà mai, e anche questo ha il suo enorme prezzo. Purtroppo, come notato, la controparte palestinese ha tradito. Oggi Israele ha appreso l’amara lezione, e non e’ quindi pensabile che si ripetano le ingenuità di allora. Nulla può essere deciso oggi senza una controparte credibile (che oggi non esiste) e senza garanzie internazionali inequivocabili. Ma il rimuginare sul “fallimento di Oslo”, vuol anche dire contestare il governo Rabin di allora, dimenticando, non a caso, che anche Itzhak Rabin fu ucciso da zeloti oppositori degli accordi di Oslo, cui tenevano bordone molti politici che sono ancora in circolazione e in attività oggi. In un certo senso gli “Accordi di Abramo” vanno nella stessa direzione degli Accordi di Oslo. Chi ci garantisce che domani la controparte non farà un voltafaccia? Nel frattempo però i nostri rivali potenziali avranno avuto accesso alla produzione di armi nucleari e ad armamenti altamente qualitativi, e l’odierno vantaggio qualitativo di cui gode Israele si ridurrà o scomparirà. Che cosa ci garantisce dal “fallimento” degli Accordi di Abramo, in particolare di fronte all’Arabia Saudita? Forse il carisma dell’attuale Conduttore? Meglio evitare due pesi e due misure e essere parsimoniosi sia nelle speranze, sia nella critica.