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Vieni tu giorno nella notte Cinzia Leone Mondadori euro 20,00 Cinzia Leone - la copertina “La morte che ci accompagna e ci segue dappresso anche se fingiamo di ignorarla, ha divorato in un baleno il frutto gentile di una pianta seminata distrattamente che aveva scovato lo stesso la linfa per nutrirsi. La vita trova strade che la morte cancella in un istante”.
E’ un’immagine di distruzione, di corpi smembrati, di “occhi senza più sguardo, labbra senza più baci e parole, respiri che non appannano più specchi” quella che accoglie il lettore nelle prime pagine dell’ultimo folgorante romanzo di Cinzia Leone. “Vieni tu giorno nella notte” è un libro che si apre con un’immagine di morte ma è pieno di vita, di amore, di sentimenti: un libro luminoso che brilla con una luce intensa anche nella notte più buia. La morte è quella che un kamikaze palestinese ha portato nel cuore di Tel Aviv facendosi esplodere in un locale affollato di gente in Shabazi Street, nel quartiere di Neve Tzedek.
Ariel, un ebreo italiano appartenente a una famiglia benestante, aveva fatto alyah scegliendo di vivere in Israele per inseguire il suo ideale nonostante il parere contrario dei genitori che vivono separati: la madre Micol a Roma è una costumista che lavora nel mondo del teatro e Daniel il padre è un ricco pubblicitario che ha usato sempre le parole per raggiungere i suoi fini. Come si sopravvive alla morte di un figlio? Non esiste nemmeno una parola per definire chi ha perso la creatura che ha messo al mondo. Come si può continuare a vivere dopo un lutto così devastante? Se lo chiedono anche Micol e Daniel che appresa la terribile notizia si precipitano a Tel Aviv per poter fare il funerale al figlio, ma li attende un’amara sorpresa perché il corpo di Ariel è stato smembrato dall’esplosione e si è confuso con quello del terrorista. Dovranno quindi attendere che i volontari di Zaka, l’associazione che si occupa di soccorrere i feriti e di raccogliere i resti delle vittime per ricomporre i corpi e darvi degna sepoltura, abbiano terminato l’identificazione.
Perché Ariel, un “soldato speciale”, così lo definisce Noa Baruch il capitano dell’esercito che accoglie i genitori, era un Hayal boded, un soldato solo che aveva lasciato la famiglia e il paese d’origine per scegliere Israele come nuova patria e aveva trovato un nuovo amore in quella terra. Tariq è un giovane palestinese fuggito da Jenin perché omosessuale e dunque perseguitato che ha scoperto di provare per quel giovane così bello, dagli occhi verdi, che indossa la divisa del nemico un sentimento forte, capace di abbattere muri e pregiudizi. E’ un amore contrastato dai parenti di Tariq e in particolare dal padre, un ricco possidente terriero, che non approva la scelta di quel figlio “senza nerbo” che preferisce studiare fisioterapia, anziché agraria.
l’omosessualità del figlio, per Tariq è il rimpianto di non aver accettato l’amore di Ariel per la divisa ed essersi lasciato travolgere da un inutile litigio, senza avere poi il tempo per rimediare. Nel giovane palestinese si insinua però, come un demone, il tarlo della vendetta e una volta appreso da un amico il luogo dove si nasconde il mandante della strage a Jenin sa che potrebbe fornire quell’informazione allo Shin Bet, l’agenzia di intelligence per gli affari interni. Non sveliamo da chi arriverà la “soffiata” basti ricordare che le pagine che narrano dell’intervento delle forze di sicurezza per catturare il mandante del massacro di Shabazi Street, in una operazione segreta denominata “Hayal Boded”, in onore del soldato che ha perso la vita nell’attentato, sono fra le più coinvolgenti e intense del romanzo e ci catapultano negli scenari adrenalinici della serie israeliana “Fauda”.
Con grande sensibilità l’autrice indaga le mille sfumature dell’amore materno. C’è Stella la nonna di Ariel che vive a Tel Aviv in una casa avvolta da cespugli spinosi come un fortino e che non è mai riuscita a dimostrare il suo affetto alla figlia Micol perché troppo coinvolta dall’amore per Israele, il Paese per il quale ha lavorato, anche sotto copertura, sempre fedele ai suoi ideali sionisti. E’ una donna dura all’apparenza, ruvida come spesso sono i sabra, che ha conservato un segreto indicibile per tutta la vita.
E nel kibbutz di Hanita, dove ha vissuto prima di sposare un giovane professore di fisica e dove ha deciso di portare le spoglie di Ariel, Stella svela alla figlia il segreto sulla sua nascita rivelando la passione giovanile per un giovane druso che non ha mai dimenticato. C’è Zahira, la madre di Tariq. Costretta a un matrimonio combinato con un uomo molto più vecchio di lei sembra una donna superficiale, in realtà riesce con un coraggio insospettato ad organizzare la fuga del figlio in Israele. “E’ uno strano miscuglio di controllo e leggerezza, prudenza e audacia” quella mamma che ha saputo rimanere al fianco del figlio proteggendolo come una lupa fa con il suo cucciolo. C’è Noa Baruch, il capitano dell’esercito che ha accolto i genitori di Ariel al loro arrivo a Tel Aviv e che non può fare a meno di trepidare per la vita della sua unica figlia, che sta facendo il servizio militare.
Disegnatrice e autrice di graphic novel, giornalista e scrittrice di successo Cinzia Leone ha spesso affrontato nelle sue opere tematiche vicine al mondo ebraico e alla realtà israeliana. Basti ricordare il suo precedente romanzo “Ti rubo la vita” (Mondadori, 2019) vincitore del premio Rapallo. In quest’ultimo libro indaga un aspetto poco conosciuto della società israeliana: l’accoglienza che viene offerta agli omosessuali che fuggono dai territori palestinesi dove non possono vivere liberamente la propria identità e dove sono perseguitati e rischiano la vita. Si calcola siano oltre 1500 i ragazzi palestinesi rifugiati nello Stato ebraico per questa ragione: qui vengono aiutati da associazioni di soccorso Lgbt come Agudà e possono essere ospitati nelle case rifugio di Beit Dror o The Pink Roof. L’idea per questo romanzo – racconta Leone in un’intervista -le è venuta da due articoli apparsi sui quotidiani nazionali che raccontavano del fenomeno di gay palestinesi provenienti dalla Cisgiordania e scappati dalle famiglie perché minacciati di morte, una volta scoperta la loro identità sessuale. In Israele trovano accoglienza e il rispetto dei diritti garantiti dall’unica democrazia del Medioriente ma è una via senza ritorno perché quei giovani non possono più ritornare ai luoghi d’origine senza rischiare la vita o rinunciare alla loro identità.
Con questo romanzo che coniuga una scrittura raffinata ad una magistrale esplorazione delle diverse sfumature dei sentimenti, Cinzia Leone ci restituisce, attraverso le vicende dei personaggi, l’immagine di quel laboratorio complesso e unico che è Israele. Una terra piena di contrasti dove convivono tradizioni, lingue, religioni e sapori diversi, “intrisa di rivalse, dove ogni pietra e ogni colpo di cannone, ogni tunnel e ogni missile, grida vendetta per un figlio, un fratello, un amante perduto”.
Leggendo lo splendido romanzo di Cinzia Leone ho ritrovato le atmosfere magiche del film “Le fate ignoranti” di Ferzan Özpetek, l’adrenalina e la tensione della serie Netflix di Fauda, ma soprattutto la struggente malinconia e il desiderio di rinascita che pervadono il libro di Matteo B. Bianchi “La vita di chi resta” che narra della dolorosa perdita del suo compagno e della difficile risalita per tornare alla luce dopo un lutto così devastante.
Giorgia Greco |
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