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Europa Rassegna Stampa
03.06.2003 Un vento nuovo soffia sull'Europa
Il quotidiano della Margherita ne trae ottimo giovamento, speriamo che duri

Testata: Europa
Data: 03 giugno 2003
Pagina: 3
Autore: Imma Vitelli
Titolo: «Israeliani? Come dire marziani»
Segnaliamo,con sorpresa e soddisfazione, un cambiamento di tendenza nel quotidiano della Margherita Europa.
Ieri è uscito un servizio dal Cairo estremamente informato sul modo arabo e le sue attitudini nei confronti di ebrei e Israele.
L'autrice, Imma Vitelli, con grande correttezza professionale svolge un'inchiesta oltre a tutto originale rispetto a quanto si pubblica in genere sui nostri quotidiani.
Correttezza e completezza di informazione confermata nell'articolo uscito oggi 4.6.2003 (e che riporteremo su IC domani) da Sharm El Sheik dove si svolgono i colloqui tra Bush e i capi di stato arabi.
Ecco l'articolo dal Cairo.

Il mio insegnante di arabo scrive sulla lavagna il verbo kadaba. Significa: mentire. Dice che è un verbo da ricordare. Lo si trova in tutti gli articoli che parlano di Israele. «Praticamente dopo ogni frase di Sharon». Per dimostrare che non scherza, tira fuori dalla borsa il quotidiano Al Akbar. Di spalla, in prima pagina, è riportata una dichiarazione del premier israeliano: «L’occupazione non può continuare», ha mentito Sharon.
Semmai la mappa per la pace messa a punto dal quartetto dovesse funzionare, semmai George W. Bush, arrivato ieri sera in Medio Oriente, dovesse riuscire dove in tanti prima di lui hanno fallito, se veramente arabi e israeliani riusciranno a smetterla di ammazzarsi, allora fatta la pace bisognerà spiegare agli arabi chi sono gli israeliani. Bisognerà far loro capire che "i sionisti" non sono alieni programmati per rubare terra e acqua, fabbricare menzogne e trucidare i palestinesi, come scrivono, con effetti a volte tragicomici, qui i giornali. Bisognerà anche far si che gente come Magdi Hussein, il principe degli agit-prop islamisti, moderi i toni, e magari eviti di scrivere sul suo giornale (Al Shaab) che «occorre impedire la visita di Sharon uccidendolo sul suolo egiziano, per vendicare tutti i bambini, le donne e gli anziani
ammazzati in Palestina». Ecco perché all’incontro di oggi a Sharm el Sheik di Bush con i leader arabi, Sharon non ci sarà: non l’hanno voluto i sauditi, certo, ma la sua presenza avrebbe anche reso la vita difficile al padrone di casa, Hosny Mubarak.
Se questa è l’aria che tira, convincere gli egiziani, che pure con gli israeliani hanno un trattato di pace datato 1979, che «sono esseri umani come noi», come ci spiega lo scrittore Ali Salem, sarà impresa ardua. Salem, 65 anni, commediografo di talento, si autodefinisce «lo sceicco della normalizzazione». In Israele lui ci è andato, ci ha scritto anche un libro, e per questo è stato cacciato dal sindacato degli scrittori ed isolato, nella vita e a teatro. «Odiamo perché abbiamo paura, odio e paura sono le due facce della stessa medaglia», racconta fumando Marlboro a catena nel caffè del Flamenco Hotel.
E’ facile odiare chi non si conosce. A parte Salem e uno sparuto gruppo di scrittori che hanno pagato di persona per essere andati a vedere come vivono i "nemici", gli unici ad averli visti, gli israeliani, sono quelli che li hanno combattuti (nel ’48, nel ’56, nel ’67 e nel ’73); quelli che secondo la vulgata popolare «si sono venduti» per un pugno di shekel andandoci a lavorare (circa 2600); e infine i beduini del Sinai, che li hanno maledetti quando se ne sono andati e continuano a maledirli (e a servirli) adesso che sono tornati come turisti dopo una lunga assenza dovuta alla seconda Intifada.
Per il resto, ignoranza mischiata ad una comica invidia. Prima che Ilan Ramon, il primo astronauta israeliano, si schiantasse coi colleghi dello shuttle Columbia nei dintorni di Palestine, Texas («Dio punisce i sionisti», scrissero
qui), una editorialista di Al Gomhurria aveva riversato sulla pagina tutto lo stupore e la bile dei nazionalisti arabi: «Ma allora non trascorrono tutto il loro tempo a torturare e trucidare i palestinesi! Ma allora riescono anche a fare qualcosa di buono, qualcosa che a noi arabi non riesce!»
«E’ uno dei paradossi della pace dell’Egitto con Israele», ci dice lo scrittore Amin Al Mahdi. Un paio di anni fa, Mahdi è stato arrestato per dieci giorni dalla polizia segreta e interrogato sui suoi rapporti con gli israeliani. La sua colpa è stata scrivere un libro in cui spiegava come il regime di Mubarak fomenti l’odio antisionista per nascondere le sue magagne. «Abbiamo tutto sommato buone relazioni con lo stato ebraico, soprattutto a livello militare. Israele ha anche un’ambasciata (al quattordicesimo piano di un mefitico palazzo di Giza, ndr), ma non abbiamo un centro culturale israeliano. Perché? Perché lo stato teme che la gente possa farsi contaminare dalla democrazia israeliana».
Al momento il rischio non esiste. Al momento, gran parte della pubblicistica enfatizza le caratteristiche rapaci dello stato ebraico. Gli esempi abbondano.
I sionisti, si legge in un resoconto del settimanale economico Al Alam Al Youm, stanno mettendo le mani sul petrolio dell’Iraq, con un progetto che punta a riattivare l’antico oleodotto da Mosul ad Haifa. «Vogliono trasformare
Haifa nella Rotterdam del Medio Oriente, in un momento in cui l’Egitto sta cercando di fare di Alessandria la principale borsa regionale per la vendita del petrolio grezzo».
Quando non complottano per saccheggiare il greggio iracheno, congiurano per mettere le mani sulle acque del Tigri, dell’Eufrate e pure del Nilo. C’è chi scrive che l’obiettivo sia l’annessione dell’Iraq, secondo altri si accontenteranno di inondare con carovane di turisti Bagdad, Mosul, Ur e tutte le città storiche. Nella capitale, in particolare, secondo la rivista al Majalla, i «sionisti staranno all’Hotel Am Mansour, mangeranno pesce da Abu Nawas, mentre il caffè lo andranno a bere al Balalaika, locale sul Tigri».
«Lo so, fa ridere», concede Ali Salem. «Ma le cose stanno cambiando. Abbiamo un proverbio in arabo: la gente adotta la religione del re. Da quando non c’è più Saddam, non ci sono più ostacoli verso la pace. Quando i regimi diranno:
khallas, finito, anche la gente scrollerà le spalle e dirà: khallas, finito». A suo avviso, ci sono alcuni segnali incoraggianti. Dopo anni di gogna, da due mesi ha una rubrica sul primo settimanale egiziano, Rose el Yusef: «E’ cominciata la riabilitazione. Un sacco di gente dovrà chiedermi scusa».
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