Kiev, segnali pericolosi anche dagli Usa Commento di Nathalie Tocci
Testata: La Stampa Data: 02 ottobre 2023 Pagina: 1 Autore: Nathalie Tocci Titolo: «Kiev, da Fico e Usa segnali pericolosi»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/10/2023, a pag.1, con il titolo "Kiev, da Fico e Usa segnali pericolosi", il commento di Nathalie Tocci.
Nathalie Tocci
Si fa presto a tracciare una linea retta da Bratislava a Washington. Le elezioni in Slovacchia hanno portato alla vittoria di Robert Fico e del suo partito Smer-Sd; mentre il voto al Congresso americano ha evitato, per il rotto della cuffia, il temuto "shutdown", cioè il blocco parziale delle attività federali, per altri quarantacinque giorni. Entrambi gli eventi sono cattive notizie per l'Ucraina e per i suoi sostenitori. Ma a ben vedere, la linea, se c'è, non è né dritta né tantomeno chiara. Fico probabilmente tornerà al potere, cinque anni dopo le dimissioni da premier causate dall'ondata di proteste seguita all'assassinio di Ján Kuciak, il giornalista investigativo che stava indagando sui presunti legami tra la «'ndrangheta e il governo slovacco. Filo-russo e scettico sulle sanzioni contro Mosca, il ritorno di Fico potrebbe causare una virata di 180 gradi nelle posizioni slovacche sulla guerra della Russia in Ucraina. Fino ad ora, la Slovacchia ha sostenuto Kyiv con convinzione, sia militarmente sia appoggiando gli undici pacchetti di sanzioni decisi dai Paesi Ue. Dall'altro lato dell'Atlantico, negli Stati Uniti, Camera dei rappresentanti e Senato, pur approvando un bilancio-tampone che permetterà alle istituzioni federali di continuare a funzionare fino a metà novembre, non hanno incluso nel pacchetto finanziario i nuovi aiuti militari per l'Ucraina. C'è una fazione di repubblicani di ultradestra che, al Congresso, rema contro il sostegno militare a Kyiv. E questo potrebbe essere solo il primo segnale di un disimpegno statunitense nei confronti dell'Ucraina, che potrebbe aumentare nel corso dei prossimi mesi. Entrambi gli eventi avranno fatto esultare il Cremlino ed i suoi accoliti, compresi quelli del nostro Paese. Allo stesso tempo, sono letti con preoccupazione dall'amministrazione Biden e dalle capitali europee. Il rischio che si intravede è, infatti, quello dell'«affaticamento»: tanto statunitense, che porterebbe alla fine degli aiuti militari a Kyiv, quanto europeo, che attraverso un piccolo blocco formato da Viktor Orbán in Ungheria e Robert Fico adesso in Slovacchia, rappresenterebbe il primo domino che cade nel consenso sull'Ucraina, sia in termini di appoggio militare ed economico, sia di sostegno al processo di adesione all'Ue. È precisamente questo scenario che Putin vede come la grande speranza per ribaltare le carte in tavola ed arrivare alla vittoria su Kyiv. D'altronde, al cuore dell'ideologia del Cremlino c'è la convinzione secondo cui le liberaldemocrazie sono deboli e viziate. Saranno forse più forti militarmente ed economicamente, ma basta tener duro – ed una dittatura con un uomo forte al potere pensa di saperlo fare – e alla fine cederanno. Beninteso, il cedimento che Putin vuole non è la rinuncia ucraina ad una fetta del proprio territorio, che sia la Crimea o il Donbass o tutte le cinque regioni annesse illegalmente dalla Russia. Questa è solo una fantasia, talvolta anche in buonafede, dei «pacifisti» nostrani. Il cedimento voluto da Putin è totale, come spesso ripetuto con chiarezza da diverse fonti ufficiali russe: è il controllo di Kyiv attraverso un regime fedele a Mosca. Le guerre imperiali, infatti, non finiscono generalmente con un compromesso territoriale: o si vincono o si perdono. E Putin cerca la vittoria. In un anno e mezzo andato tutto nel senso inverso, l'unica speranza che ha di ribaltare l'esito è attraverso una guerra lunga che sfinirà non tanto gli ucraini, ma i loro sostenitori occidentali. Naturalmente, il voto in Slovacchia e quello del Congresso Usa sono solo dei primi avvertimenti. Il vero cedimento dell'Occidente richiederebbe perlomeno la vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane del novembre 2024. Insomma, Putin sa che la guerra dovrà andare avanti come minino fino a quel momento, ma spera che, nonostante i territori che probabilmente perderà fino ad allora, le sue fortune si ribalteranno dopo. Ciò che è accaduto ieri lo fa ben sperare. Ma esiste davvero una linea così chiara e retta tra Bratislava e Washington? Andando più a fondo cosa si intravede? In Slovacchia, Smer-Sd è emerso come primo partito con il 23% dei voti, mentre i progressisti liberali guidati dal vicepresidente del Parlamento europeo Michal Šime?ka si sono attestati al 18%. Ma Fico non potrà governare da solo: l'ago della bilancia sarà il terzo partito, Hlas, nato dalla separazione da Smer-Sd dopo l'assassinio del giornalista e le proteste del 2018. Se ci sarà un governo guidato da Fico, insomma, questo sarà frutto quantomeno di una coalizione instabile, ed è tutto da vedere se e come ciò si tradurrà in un cambio di politica estera della Slovacchia. Negli Stati Uniti invece, nonostante il pacchetto di aiuti militari sia stato escluso dall'accordo temporaneo sul bilancio raggiunto al Congresso, probabilmente le prossime settimane vedranno una decisione ad hoc sull'Ucraina. Finché siederà Joe Biden alla Casa Bianca è improbabile che si registri un reale cambio di politica estera negli Stati Uniti. Al contrario, sia a Washington sia nelle capitali europee il calcolo di Putin diventa sempre più chiaro; e benché non fosse l'esito sperato, ci si prepara a sostenere Kyiv in una guerra lunga. È importante leggere i segnali ed aprire bene gli occhi ai rischi all'orizzonte. È fondamentale farlo non perché questi necessariamente si avvereranno: se oggi una linea esiste è pressoché invisibile. I rischi vanno, semmai, visti e analizzati proprio per evitare che il peggio accada.
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