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La Repubblica Rassegna Stampa
29.09.2023 Italo-palestinese in carcere: ecco perché
Commento di Giuliano Foschini

Testata: La Repubblica
Data: 29 settembre 2023
Pagina: 27
Autore: Giuliano Foschini
Titolo: «Gli israeliani indagano sui contatti di el-Qaisi. Lui: 'Solo vecchi amici'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 29/09/2023, a pag. 27, con il titolo "Gli israeliani indagano sui contatti di el-Qaisi. Lui: 'Solo vecchi amici' ", l'analisi di Giuliano Foschini.

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Giuliano Foschini

Khaled el Qaisi, «la famiglia non è stata contattata dalla Farnesina» | il  manifesto
Khaled el-Qaisi

Tre incontri, almeno, con persone attenzionate dai servizi israeliani perché considerate vicine ad associazioni terroristiche palestinesi. Un paio di contatti presi dall’Italia e poi continuati una volta arrivato a Betlemme. Alcuni post pubblicati nel tempo di vicinanza all’Fplp, partito di stampo marxista riconosciuto come formazione terroristica da Israele ma anche dalla Ue e dagli Usa. Ci sarebbe questo dietro il fermo, ormai da un mese, del cittadino italo-palestinese Khaled el-Qaisi, 29 anni, arrestato il 31 agosto scorso dalla polizia israeliana mentre stava per rientrare a Roma dove vive con sua moglie, italiana, e il suo bambino di 4 anni. È ancora in carcere, in attesa della scadenza dei termini prevista per il primo ottobre. «Da quello che al momento è nella nostra conoscenza non c’è nulla che non si possa spiegare », dicono aRepubblica fonti vicine al dossier. «Perché il ragazzo prima di quel momento non aveva mai avuto alcuna segnalazione di contatti con associazioni terroristiche o eversive. E perché non ha negato o cercato di nascondere chi ha incontrato alsuo ritorno a casa: da quello che al momento sappiamo si trattava solo di vecchi amici, oggetto di quegli incontri non era né la politica né, peggio, l’eversione». El Qaisi, che lavora come ricercatore all’università La Sapienza di Roma, era tornato in Cisgiordania dopo 12 anni di assenza. Voleva infatti preparare i documenti per far prendere la cittadinanza palestinese a suo figlio. Era stato in vacanza a Betlemme ed era al valico di frontiera di Allenby, al confine fra Giordania e Israele, quando viene fermato dalla polizia israeliana. Vengono fatte alcune domande sugli spostamenti e sugli incontri che l’uomo aveva avuto: era da circa tre settimane in Cisgiordania, una settimana da solo e per 15 giorni con la famiglia. «Gli chiedono anche degli orientamenti politici e trattengono Khaled mentre rilasciano la moglie e il bambino» spiega l’avvocato italiano Flavio Rossi Albertini. «Purtroppo non siamo stati messi nelle condizioni di sapere nulla, perché la legge israeliana prevede che non ci sia una discoverydelle accuse: non è stato messo nessun fascicolo a nostra disposizione». L’ambasciata italiana, che ha seguito sin dal principio il caso, ha però ottenuto che El Qaisi potesse incontrare un suo avvocato e il console lo ha visto per due volte nel carcere di Petah Tiqva, a est di Tel Aviv, dove si trova. «Non abbiamo avuto però accesso ad alcun atto e gli interrogatori a cui viene sottoposto quotidianamente si svolgono senza alcuna assistenza legale» dicono i familiari. La politica – partendo dall’onorevole di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni – ha chiesto l’intervento del ministero degli Esteri che, come si diceva, ha avviato le interlocuzioni con Israele. Parallelamente a quello che sta facendo l’intelligence: gli incontri che El Qaisi ha avuto sono un fatto, «e d’altronde nemmeno lui li ha potuti smentire», ragiona una fonte italiana. «Ma se io vado a cena con un vecchio amico, che poi scopro essere un mafioso, non posso essere accusato di mafia». Così come, ragiona la nostra intelligence, non possonoessere dei post su Facebook a inchiodarlo anche perché prima di questa vicenda nessuna informativa dei servizi italiani aveva mai segnalato El Qaisi. «Ma Israele non è certo l’Egitto: la collaborazione giudiziaria con il nostro paese», dice una fonte della Farnesina, «è ottima: aspettiamo di vedere cosa accadrà nei prossimi giorni». Il primo ottobre scadono i termini del fermo preventivo e Israele dovrà necessariamente liberarlo e rendere note le accuse. Potrebbe essere praticabile una strada che porti all’espulsione, «ma perché un ragazzo che non ha fatto nulla non deve più poter tornare a casa sua?», chiede l’avvocato Rossi Albertini.

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