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Panorama Rassegna Stampa
05.06.2003 Difficile ma non impossibile
Alcune buone ragioni per sperare che sia la volta buona

Testata: Panorama
Data: 05 giugno 2003
Pagina: 39
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Difficile ma non impossibile»
Riportiamo un articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato su Panorama del 5 giugno 2003.
L'esercizio di entusiasmo che accompagna l'accettazione della road map da parte sia israeliana sia palestinese è giustificato per due ragioni: primo, perché è bello scorgere una fiammella alla fine di una strada accidentata quanto il conflitto israelo-palestinese; secondo, perché dà soddisfazione che la guerra all'Iraq cominci a produrre qualcosa che piaccia alla maggioranza dell'opinione pubblica. E se si manifesta qualche scetticismo generato dalla infinita serie di fallimenti, si risponde che stavolta l'amministrazione americana ce la sta mettendo tutta, e che Ariel Sharon non può altro che rispondere positivamente. E che Abu Mazen ne ha tutto l'interesse.
Ma la risposta non è sufficiente. Già in passato vari presidenti americani hanno speso il loro potere per un accordo: basti ricordare lo sforzo di Bill Clinton, che nulla ha potuto sulla decisione di Arafat di dire no a qualsiasi proposta e imbarcarsi nell'ennesima manifestazione di rifiuto.
Perché, in genere gli accordi sono falliti?
Per due ragioni: il rifiuto degli arabi, che (a parte le due fredde paci con l'Egitto e la Giordania) seguitano a negare a Israele il diritto a esistere come stato degli ebrei e anzi lo sanzionano accusandolo di malvagità intrinseca; e il terrorismo, che nella misura in cui piaga Israele distrugge ogni possibile trattativa. Ed evitare il terrorismo è difficile: a volte si dice che nasca dalla mancanza di un orizzonte politico, a volte invece che si manifesti con violenza quando la pace è imminente.
Nessuna delle due ipotesi è realistica: quando col processo di pace il danaro fluiva nella West Bank e tutte le città palestinesi erano state liberate, l'elezione di Shimon Peres fu impedita da un fioccare di attentati con centinaia di morti. In situazione diversa, il ritmo degli attentati non è diminuito.
Allora tutto è perduto? No, non è così. Abu Mazen, benché cresciuto nell'entourage di Arafat, non ne condivide l'estremismo: l'intifada della moschea è stata una delusione; il mondo arabo è sotto lo schiaffo della guerra all'Iraq; il terrorismo suicida è diventato impopolare a livello internazionale a partire dall'11 settembre.
Abu Mazen è sincero, anche Sharon lo è: il suo rapporto con George Bush non è frutto di paura o di piaggeria, ma della convinzione che l'idea del 24 giugno, ovvero battere il terrorismo con la democratizzazione del mondo arabo, sia davvero buona.
Inoltre "Arik" alle recenti primarie ha sfidato Benjamin Netanyahu sulla parola d'ordine "stato palestinese".
Dopo la pace di Camp David (nel '79) fu lui a sgomberare l'insediamento di Yamit nel Sinai, e non lo fece con i guanti. Sharon non è religioso: se si convincerà che gli insediamenti non hanno uno scopo difensivo, li sgombererà senza pietà. Sempre che il terrore taccia, sempre che Abu Mazen la spunti sui suoi.
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rossella@mondadori.it

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