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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Il Grande Perdono 29/09/2023
Il Grande Perdono
Analisi di Michelle Mazel 

(traduzione di Yehudit Weisz)


Yom Kippur: un augurio e una riflessione per il Giorno dell'Espiazione

Nella tradizione ebraica, il nuovo anno è seguito da un periodo di raccoglimento e di riflessione che trova la sua conclusione nella più solenne delle celebrazioni, quella dello Yom Kippur, il giorno del Grande Perdono. Così avviene oggi nelle comunità ebraiche di tutto il mondo. Ma non più, ahimè, nello Stato ebraico. In Terra d'Israele, dove vive più della metà degli ebrei del mondo, avremmo cercato invano quest'atmosfera d'altri tempi, questo sentimento di profonda comunione. Ci sono numerosi motivi che lo spiegano. Israele è in stato di allerta. Quindi, date le reali minacce di attentati, in ogni sinagoga durante le preghiere dello Yom Kippur, doveva esserci un uomo armato. Il rischio di escalation alle frontiere è più presente che mai. Al nord, Hezbollah moltiplica le sue provocazioni;  a Gaza Hamas non è da meno e, giorno dopo giorno, si registrano incidenti più o meno gravi alla frontiera. Centinaia di migliaia di israeliani si sentono così presi in ostaggio, non sanno se si stia andando verso una pacificazione o un nuovo scontro.

In Giudea e Samaria, l’esercito effettua incursioni su incursioni per dominare una situazione quasi insurrezionale, alimentata dal flusso di denaro, di armi e munizioni provenienti dall’Iran, attraverso le sue reti di contrabbando. Secondo Le Figaro, che ha pubblicato un'inchiesta approfondita  sulla situazione del 24 settembre: “Tra le enclavi palestinesi e i territori occupati dall'esercito e dai coloni israeliani, le violenze reciproche quotidiane impediscono qualsiasi riconciliazione o soluzione politica.” Il giornalista cita un attivista della Jihad islamica che dichiara:  “Noi siamo dei mujaheddin . Noi ci battiamo per tutta la Palestina,  per tutta Gerusalemme, Haifa, Nazareth.”

Il successo della visita del Primo Ministro Benjamin Netanyahu negli Stati Uniti non è riuscito a rasserenare un po' l'atmosfera, perché nell’attuale contesto non vediamo come delle concessioni eventuali all'Autorità Palestinese che l'Arabia Saudita potrebbe chiedere come prezzo della normalizzazione, potrebbero calmare la situazione soprattutto perché l’attuale coalizione avrebbe serie difficoltà ad accettarle. A questo aggiungiamo  l'impotenza della polizia nel garantire l'ordine pubblico nella sfera araba. 

Ai media occidentali piace riferire che dall’inizio dell’anno 237 arabi palestinesi sono stati uccisi negli scontri con Israele. Questa cifra include i terroristi di Gaza. Ma c’è un altro dato, ancora più spaventoso; quello di quasi 190 arabi israeliani – uomini, donne e bambini – morti durante i regolamenti di conti e le vendette all’interno della società araba in Israele.

Per farcela, Israele avrebbe bisogno di unità. Solo che è da mesi, ormai, che i cittadini israeliani si dilaniano a vicenda. Ad ascoltarli, tutti vorrebbero la stessa cosa e rivendicano gli stessi ideali democratici. Purtroppo, come nella mitica Torre di Babele, non si capiscono. Quel che è peggio, non cercano di capirsi e si martellano a colpi di slogan. Sono troppi i leader che gettano benzina sul fuoco. Da qui questo spettacolo straziante di ebrei che si scontrano durante lo Yom Kippur.
 
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Michelle Mazel

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