Testata: Il Foglio Data: 28 settembre 2023 Pagina: 1 Autore: Fabiana Magrì Titolo: «Da Gerusalemme a Riad»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 28/09/2023, a pag. 1, con il titolo "Da Gerusalemme a Riad", l'analisi di Fabiana Magrì.
A destra: Benjamin Netanyahu, Mohammed bin Salman
Fabiana Magrì
Gerusalemme. A meno di una settimana dal passaggio di testimone su Fox News tra Mohammed bin Salman e Benjamin Netanyahu, per due interviste in cui entrambi i leader hanno espresso grande fiducia nel futuro delle relazioni tra i rispettivi paesi, due delegazioni ufficiali – una saudita e una israeliana – sono entrate, nello stesso giorno, l’una nel paese dell’altra. Viavai che rafforzano l’ottimismo sull’approssimarsi della normalizzazione dei rapporti tra Arabia saudita e Israele, con la determinante e determinata negoziazione degli Stati Uniti di Joe Biden. Martedì l’ingresso in Israele attraverso il valico di Allenby dell’inviato saudita per la Giordania e Gerusalemme est, Nayef al Sadiri, per raggiungere Ramallah e incontrare il presidente Abu Mazen è stato storico, una prima volta dagli Accordi di Oslo, 30 anni fa, con la nascita dell’Anp. Sadiri ha presentato le sue credenziali ufficiali alla Muqata’a come “ambasciatore non residente presso lo stato di Palestina e console generale nella città di Gerusalemme”. Ha anche voluto rassicurare Abu Mazen e i palestinesi, mettendo l’accento sul passaggio della rara intervista del principe ereditario saudita alla tv americana in cui Mbs ha sì affermato che “ogni giorno ci avviciniamo” alla normalizzazione dei legami con Israele ma ha anche aggiunto che la questione palestinese resta una parte “molto importante” per una svolta decisiva. L’atteggiamento di Ramallah nei confronti della possibilità di relazioni ufficiali tra Riad e Israele si è ammorbidito negli ultimi mesi, da quando il presidente palestinese ha maturato la consapevolezza che ergersi a ostacolo porta con sé il rischio di vedersi rimosso. Mentre diventare il nodo cruciale nei colloqui – almeno uno dei più spinosi, politicamente – può riservare vantaggi. Proprio parlando all’Assemblea generale delle Nazioni Unite Abu Mazen ha dichiarato che “chi pensa che la pace possa affermarsi in medio oriente senza che i palestinesi abbiano uno stato, rimarrà deluso”, facendo di fatto un concreto riferimento alla possibilità di un accordo di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele. Contemporaneamente il titolare del dicastero del turismo, Haim Katz, è stato il primo ministro israeliano a guidare una delegazione ufficiale sul suolo saudita, per partecipare a una conferenza ospitata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per il turismo a Riad. La missione di due giorni è stata annunciata con una nota il cui il ministro ha dichiarato che “il turismo è un ponte tra le nazioni” e che “la cooperazione nel campo del turismo ha il potenziale per unire i cuori e favorire il progresso economico”. Il premier Netanyahu, a New York venerdì scorso, ha detto che Israele è “al culmine” di un accordo storico con l’Arabia Saudita, regno con cui già condivide affari e la preoccupazione per un rivale comune, l’Iran. A indicare una finestra temporale piuttosto imminente, nell’intervista a Fox News Netanyahu ha fornito ulteriori coordinate: “Penso che quando ci sono tre leader e tre paesi che vogliono avidamente un risultato – gli Stati Uniti sotto il presidente Biden, l’Arabia Saudita sotto il principe ereditario Mohammed bin Salman e Israele sotto il mio premierato –ciò aumenta davvero la possibilità di riuscita”. Ma il triangolo diplomatico non vive in una bolla e le sfide da superare sono a tante latitudini così come dentro casa. Biden rincorre un risultato importante in politica estera in vista delle elezioni presidenziali del 2024 e l’accordo israelo-saudita si inserisce in una competizione globale strategica tra Stati Uniti e Cina, di cui fa parte anche il progetto da lui annunciato a inizio settembre al G20 indiano: l’asse di collegamento infrastrutturale e logistico, marittimo e ferroviario, tra India ed Europa attraverso il medio oriente (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Israele). A Bibi, che dal pulpito di New York ha annoverato questa impresa tra le speranze per il futuro, resta un miracolo da compiere. Conciliare, cioè, le posizioni della destra alla sua destra nella coalizione di governo – che si oppone a qualsiasi concessione ai palestinesi e non molla sulla riforma del sistema giudiziario che continua ad alimentare la spaccatura sociale in patria – e le aspettative dei partner internazionali, gli Stati Uniti in primis, che vedrebbero di buon occhio una coalizione con l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz al posto dei nazionalisti religiosi Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich.
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