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Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.05.2003 Il nuovo prodigio di Romano 2
Biografia di Abu Mazen alla Romano

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 maggio 2003
Pagina: 14
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Abu Mazen l’intellettuale sfida l’orgoglio di Arafat»
Il negoziatore schivo deve guardarsi anche dai «fratelli»

Negli anni in cui il comandante Sharon lanciava operazioni di rappresaglia contro le forze egiziane nella striscia di Gaza,
l'ha già detto nell'articolo precedente, caro Romano: non se lo ricorda già più? Comunque torno a ripetere: non erano rappresaglie, bensì operazioni di difesa dal terrorismo (eppure la Sua età dovrebbe consentirle di ricordare che cosa sia una VERA rappresaglia)

il giovane Mahmud Abbas (così si chiamava allora Abu Mazen) studiava giurisprudenza all’università del Cairo.

Vale a dire che quando Sharon era già cattivo, come poi ha continuato ad essere, Mahmud Abbas era già buono, come poi ha continuato ad essere.

Il Dio di Abramo ha fatto i due uomini con stampi completamente diversi. Mentre Sharon è bellicoso, irruento, accattivante e carismatico, Abu Mazen è un intellettuale riservato, schivo, perennemente imbronciato.

Negatore dell'Olocausto, favorevole al terrorismo, organizzatore e finanziatore della strage alle olimpiadi di Monaco ecc. ecc.

Terminati gli studi al Cairo, va a Mosca dove ottiene un dottorato e comincia a scrivere: articoli, saggi, libri. Ma è un intellettuale militante. La scelta di Mosca per il suo dottorato non è casuale. In una fase in cui la causa palestinese sembra riscuotere simpatie soltanto in Unione Sovietica,
vero. Figuratevi che neanche i palestinesi avevano ancora scoperto di essere un popolo e di avere bisogno di uno stato.

Abu Mazen sceglie di proseguire gli studi nella «patria del socialismo». E’ socialista, quindi laico e poco sensibile, se non addirittura ostile, alle correnti religiose del nazionalismo arabo. Tornato nella regione, s’installa nel Qatar dove attira intorno a sé un gruppo di giovani che diverranno, negli anni seguenti, il gruppo dirigente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina.
Nata - non dimentichiamolo - quando non un solo centimetro di Gaza e Cisgiordania era occupato da Israele.

Ma il momento decisivo della sua vita sono il sodalizio con Yasser Arafat e la fondazione di Al Fatah. Da quel momento, e per molti anni, Arafat e Mazen sembrano inseparabili e, soprattutto, complementari. Mentre il primo diventa il leader politico del movimento

Quando mai Arafat è stato un politico? Lui è stato sempre e solo un capo terrorista.

e ne recita brillantemente la parte, Mazen preferisce gli incontri riservati con i leader arabi e i contatti confidenziali con i loro servizi di intelligence. Si occupa di sicurezza e della raccolta dei fondi necessari alla vita del movimento. Ma al gusto per le trame politiche e alla ricerca del denaro corrisponde un’esistenza privata modesta, pulita e finanziariamente impeccabile.
Legati l’uno all’altro, in quegli anni, da una reciproca stima, Arafat e Mazen passano insieme attraverso tutte le tappe dell’esilio: la Giordania all’epoca di Settembre nero (la sanguinosa operazione con cui re Hussein si sbarazzò dei suoi ingombranti ospiti palestinesi), il Libano all’epoca della guerra israeliana, la Tunisia negli anni in cui le operazioni dei servizi segreti israeliani incombevano minacciosamente sulla vita quotidiana dei dirigenti dell’Olp.
Sulla vita di feroci terroristi dalle mani lorde di sangue: noi, per dirigenti, intendiamo gente come il presidente della Fiat, o della Banca d'Italia: non è esattamente la stessa cosa.

Nel frattempo, sin dalla prima metà degli anni Settanta, Mazen allarga i suoi contatti confidenziali ai circoli pacifisti della sinistra israeliana. I suoi primi partner, nel 1974, sono Uri Avnery, personalità di spicco di quei circoli, e più tardi il Consiglio israeliano per una pace israelo-palestinese. In un articolo apparso recentemente sul sito Solidarité Palestine, Avnery ha scritto che il loro primo incontro ebbe luogo a Tunisi ventotto anni fa. Nelle conversazioni allargate, alla presenza di Arafat, Mazen gli parve serio, informato perfettamente padrone della materia di cui si discuteva. Ma al momento delle decisioni l’intellettuale si faceva da parte e lasciava la parola al leader. «Più di una volta, scrive Avnery, ebbi l’impressione che i principali dirigenti dell’Olp fossero contenti di lasciare ad Arafat il compito di prendere le decisioni».
Contenti o costretti? Se, come abbiamo avuto modo di constatare anche recentemente, è sufficiente contraddire il capo per ritrovarsi con una pistola infilata in bocca, proviamo immaginare che cosa succederebbe se qualcuno osasse prendere le decisioni al posto suo.

L’esperienza fatta negli anni Settanta divenne utile quando Rabin e Peres, durante l’Intifada, decisero di esplorare la possibilità di un accordo. Fu Abu Mazen il negoziatore dell’Olp ai negoziati di Oslo e il maggiore responsabile, per parte palestinese, dell’accordo. Ma il successo, a quanto pare, ingelosì Arafat e gettò un’ombra, da allora, sul rapporto fra i due uomini. Ce ne siamo accorti nel corso degli ultimi mesi. Il vecchio leader dell’Olp ha subito di malavoglia l’ascesa del suo vecchio compagno e ha reso difficile, sino all’ultimo momento, la formazione del suo governo.
Abu Mazen si trova così in una situazione paradossale. E’ l’unico leader palestinese con cui Sharon e gli americani intendono parlare. Ma non può controllare tutte le leve del potere
per essere precisi, non ne controlla praticamente nessuna

e deve evitare i trabocchetti che Arafat disporrà sulla sua strada.
Non è tutto. Oltre a essere insidiato dal vecchio leader, Abu Mazen è schiacciato fra le richieste del Quartetto e i critici palestinesi del piano di pace. La «carta stradale» gli chiede di tenere a bada i terroristi, arrestarli, incarcerarli, processarli. Ma Hamas e le altre organizzazioni radicali della società palestinese diffidano di Sharon, temono la continuazione degli insediamenti e hanno buon gioco nell’osservare che il grande muro, in corso di costruzione, sembra fatto apposta per allargare il territorio israeliano collocando molti villaggi palestinesi in una terra di nessuno dove gli abitanti non avranno né identità né diritti.
A quanto pare il signor Romano non ha letto lo statuto di Hamas (se lo desidera possiamo fornirglielo): Hamas è nato all'unico scopo di combattere per la cancellazione di Israele (come l'Olp, del resto), non accetterà mai alcun accordo con Israele, non ne riconoscerà mai l'esistenza, non accetterà mai che un solo centimetro di terra israeliana resti occupato da Israele. Tutto il resto - insediamenti, muri, governi di destra o di sinistra - sono chiacchiere da bar Sport.
E’ possibile, chiedono i gruppi più radicali, permettere la svendita di altri territori palestinesi quando tre milioni e mezzo di esuli non hanno ancora rinunciato alla speranza di tornare nelle terre da cui dovettero partire nel 1948 e nel 1967?
A queste obiezioni Abu Mazen ha risposto nelle scorse settimane che l’economia dell’Entità autonoma è in rovina, che le condizioni di vita della popolazione sono intollerabili, che la pace è divenuta ormai indispensabile.
E ha aggiunto sottovoce, probabilmente, che i palestinesi hanno in mano una carta vincente, la fertilità demografica, con cui ribaltare, dopo una lunga tregua, i rapporti di forza della regione.
E il doppiogiochista sarebbe Sharon?

Sono questi gli argomenti di cui continuerà a servirsi nelle prossime settimane per impedire che un nuovo attacco terroristico e una nuova incursione militare israeliana nei territori palestinesi pregiudichino qualsiasi possibilità di dialogo.
Pochi uomini appaiono, all’inizio di una difficile trattativa, così disperatamente soli. A meno che il presidente Bush, nel prossimo incontro tripartito di Aqaba, non dimentichi per un istante le sue preoccupazioni elettorali e ricordi che un vero mediatore, in queste circostanze, deve fare pressioni sulla parte più forte, non su quella più debole.
Altra domanda da trecentomila miliardi di dollari: chi è che ha alle spalle un miliardo di alleati? Chi è che ha l'appoggio della maggioranza all'assemblea dell'Onu? Chi è che ha il sostegno incondizionato dell'Unione Europea? Chi è che riceve miliardi di dollari? Chi è che riceve navi con decine di tonnellate di armi ciascuna? Chi è che ha il papa che predica in suo favore?
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