Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 16/09/2023, a pag. 18, con il titolo "Mahsa un anno dopo. La rivolta dell’hijab sta cambiando l’Iran" l'analisi di Pegah Moshir Pour.
Pegah Moshir Pour
Oggi è il primo anniversario della morte di Mahsa Jina Amini, evento scatenante di una lotta che da allora non si è mai fermata. In questa lotta per la libertà in Iran, sono le donne a emergere come coraggiose leader della disobbedienza civile. Nonostante le severe leggi che impongono l’hijab obbligatorio, sfidano apertamente il regime, promuovendo un cambiamento sociale e culturale. Mahsa Amini è diventata il volto di una ribellione silenziosa che sta scuotendo le fondamenta del regime teocratico iraniano che da quarantaquattro anni domina l’Iran. Il 13 settembre 2022 venne arrestata per aver indossato l’hijab in modo non conforme alle rigide leggi. La sua morte, avvenuta tre giorni dopo mentre era in custodia della polizia, ha suscitato un’ondata di proteste che ha scosso l’intero Paese. Così Mahsa non è finita nell’oblio dell’oppressione; al contrario, il suo nome si è amplificata tra le strade del Kurdistan iraniano, di Teheran, Mashhad e Qom, ispirando una nuova generazione ad alzare la testa e a sfidare il regime con una promessa: “Combatteremo, moriremo e ci riprenderemo il nostro Iran”. Le donne iraniane lungamente oppresse e discriminate, e insieme a loro anche molti uomini, hanno trovato in Mahsa una figura di speranza e determinazione. La disobbedienza civile ha dimostrato che si ha il potere di cambiare le cose ed è nelle mani di coloro che sono disposti a lottare per la loro libertà. Le leggi sull’hijab obbligatorio sono diventate il simbolo di una società oppressiva, ma la morte di Mahsa ha provocato una rabbia che non si ferma davanti a stupri, uccisioni, arresti e avvelenamenti nelle scuole. Tuttavia, il prezzo della ribellione è alto. Le autorità iraniane rispondono con una repressione spietata. Molte donne coraggiose sono statearrestate, imprigionate e torturate. La risposta alla loro disobbedienza civile è stata la violenza, ma la loro determinazione non si è spezzata. Il movimento ha i volti di Parmida Shahbazi che guarda dritta in faccia i Basiji senza alcuna paura. O di Azadeh Abedini, che ripresa da un agente lo sfida: «Vai avanti, filma ancora un po’, riprendimi meglio. La mia scelta dell’hijab non danneggia nessuno ». O ancora di Atefeh Rangriz, scrittrice e attivista per i diritti delle donne in Iran, arrestata il 10 settembre nell’ambito di una campagna intimidatoria preventiva. Ma la disobbedienza continua. Secondo Saeed Montazer al-Mahdi, portavoce del comando della polizia, tra il 15 aprile e il 15 giugno sono stati inviati quasi un milione di sms ai proprietari di veicoli in tutto l’Iran, per avvertirli di far rispettare le regole dell’hijab obbligatorio. Intanto corre il passaparola per un grande raduno in nome della libertà. Video, fotografie, adesivi, scritte nelle metro e bagni pubblici: ovunque si chiede la mobilitazione. Il regime sembra che sia in difficoltà a tenere sotto controllo tutto il Paese perché anche le province disobbediscono e non ci sono abbastanza forze per controllare la popolazione. Rinforzi sono stati mandati di notte a Saqqez, proprio dove dovrebbe svolgersi il pellegrinaggio verso la tomba di Mahsa Amini. Quindi si ricorre anche alle famiglie dei manifestanti o delle vittime, che stanno pagando un prezzo terribile. Lo zio di Mahsa, Safa Aeli, è stato arrestato mentre era a casa sua a Saqqez. Il padre di Mahsa è stato convocato l’11 settembre dalle autorità e minacciato affinché non commemorasse sua figlia. Eppure, nonostante la repressione e le minacce, la disobbedienza civile continua. Le giovani donne e gli uomini iraniani si rifiutano di piegarsi al regime, e la loro ribellionecresce di giorno in giorno. Le storie delle ragazze ingiustamente imprigionate e abusate sono un richiamo alla solidarietà e alla compassione, e un motivo in più per continuare la lotta. Oggi, 16 settembre 2023, segnerà un altro capitolo nella storia della disobbedienza civile in Iran. Ma è importante continuare a monitorare ciò che succede in Iran poiché ci avviciniamo a due momenti importanti per la geopolitica internazionale dove il ruolo dell’Iran è cruciale. Vedremo nel mese di novembre Ali Bahreini, ambasciatore della Repubblica islamica e rappresentante permanente presso le Nazioni Unite, presiedere il Forum sociale 2023 del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, mentre l’anno nuovo inizierà con l’allargamento dei Paesi “Brics” ad Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, aprendo scenari interessanti. La luce di Mahsa Amini brillerà più intensamente che mai, illuminando la strada per la libertà e i diritti delle donne. La sua voce, anche se silenziosa, è un richiamo a non arrendersi mai, a lottare per un futuro migliore. La rivoluzione delle donne e degli uomini dell’Iran continua, e niente potrà spegnere la fiamma della loro speranza.
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