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La Stampa Rassegna Stampa
15.09.2023 'Iran, le mie prigioni'
Il racconto di un attivista per i diritti arrestato e torturato

Testata: La Stampa
Data: 15 settembre 2023
Pagina: 18
Autore: Asghar
Titolo: «Le mie prigioni»
Riprendiamo oggi, 15/09/2023 dalla STAMPA, a pag. 18, con il titolo "Le mie prigioni", il commento a firma Asghar.

Their Hair Long and Flowing or in Ponytails, Women in Iran Flaunt Their  Locks - The New York Times

La chiamata è arrivata di primissima mattina. Non hanno bisogno di presentarsi, loro. Quando sul display del cellulare compare "numero sconosciuto" sai già di chi si tratta. Ho risposto e una voce carica di odio mi ha ordinato di presentarmi in un certo ufficio. Ero preparato, gli avvocati dei diritti umani che seguono i miei amici attivisti mi avevano consigliato di non accogliere la convocazione telefonica e così ho fatto. Ma non è bastato. La mattina dopo hanno fatto irruzione nel piccolo ostello economico di Teheran dove abito da tre mesi, perché i miei conti bancari sono stati congelati e ho dovuto lasciare l'appartamento in cui vivevo. Erano agenti in borghese, mercenari. Sono entrati sfondando la porta, stavo facendo la doccia. Mi hanno lasciato vestire e intanto spaccavano il tavolo, il letto, i vetri delle finestre. Poi è toccato a me. Mi hanno stretto in un angolo e si sono scatenati, manganellate, calci, pugni, sputi. Hanno perquisito furiosamente le mie borse, hanno prelevato i miei scritti e hanno rubato i vestiti, le scarpe, l'orologio, perfino le vitamine. In strada ci aspettava una macchina. Ho viaggiato con gli occhi bendati e la testa piegata sulle loro gambe affinché non vedessi dove andavamo. Mi sono ritrovato in una piccola cella, avevo dolori ovunque per le scariche di taser somministratemi durante il viaggio. Tremavo. Saranno passate ore prima che mi portassero nella stanza dove mi aspettavano due uomini, due di loro. Uno tirava calci e schiaffi alla cieca, l'altro mi chiedeva forsennatamente se avessi intenzione di partecipare all'anniversario della rivoluzione, mi chiamava traditore, bastardo, diceva che avevo preso soldi dall'America e da Israele per attaccare la repubblica islamica, urlava che non c'era posto per quelli come me in Iran. Ripeteva che appena il nostro leader l'avesse ordinato ci avrebbero ammazzati tutti in un solo giorno senza neppure bisogno di giustiziarci, sarebbe bastato investirci per le strade con la macchina, sarebbe bastato simulare un incidente, cento incidenti, mille incidenti. Poi la minaccia più sinistra: "Stavolta, se parteciperai ancora alle proteste, ti troveremo subito e finirai in un carcere dove ci sono molti detenuti con forti appetiti sessuali, ti metteremo a loro disposizione". Avevo la lingua pesante, non riuscivo a rispondere. E loro picchiavano, picchiavano. Mi sono risvegliato nella cella, era notte, credevo fosse un incubo e volevo svegliarmi, ma ero sveglio. Urinavo sangue, anche le feci erano rosse. Sono rimasto così per cinque giorni, detenuto illegalmente, torturato, alimentato solo ad acqua. Finché mi hanno sottoposto un foglio da firmare in cui promettevo che non avrei partecipato a nessuna manifestazione. Io però gli impegni li prendo solo con me stesso: pensavo questo attraversando i corridoi lugubri in cui ho visto attivisti che non conoscevo e altri che conoscevo, non potevano parlare tra di noi. Sono tornato all'ostello, dove mi aspettava il direttore, un uomo per bene che mi ha aiutato molto, non ha mai chiesto che pagassi più di quanto potevo, ossia un solo mese. È stato lui ad accompagnarmi al pronto soccorso, dopo avermi accolto e rincuorato insieme ad altri ospiti della struttura, tra cui un neozelandese e due olandesi. Martedì sera in ospedale il medico ha detto che sarei dovuto restare ricoverato per tre giorni ma sfortunatamente la mia assicurazione sanitaria è stata cancellata dal governo e non ho soldi per permettermi una degenza del genere, così ho preso le medicine che mi sono state prescritte e sono rientrato in ostello. Vogliono farci vivere nel terrore dell'incertezza, ci stanno col fiato sul collo, li sentiamo arrivare, ma qualche volta arrivano e qualche altra no. Dobbiamo sapere che loro ci braccano. A tanti amici in questi giorni è capitato quello che è capitato a me: sono stati convocati telefonicamente e dopo essersi rifiutati di andare all'appuntamento sono stati presi in casa, in ufficio. Una mia amica è stata raggiunta a Isfahan dove si era recata per lavoro, l'hanno trovata in albergo. Il trattamento è sempre lo stesso. Gli agenti in borghese, i mercenari, piombano all'improvviso come fossero a caccia di criminali, ammanettano gli attivisti e li trascinano per la strada, picchiano duro convinti della loro impunità e poi prendono tutto quello che trovano, carte, documenti, dispositivi elettronici ma anche abiti, oggetti, collane. Sto male fisicamente ma so che il corpo guarirà, mi hanno bastonato tante volte. Sto male soprattutto dentro, sono nauseato da questo odio e questa violenza, da questo sistema senza legge. Prendo impegni solo con me stesso e con i miei compagni, ecco perché ancora ieri, nonostante il dolore allo stomaco, ho raggiunto le proteste a Enqulab street, a Jomhuri street e nella metropolitana. Lo farò ancora, il giorno dell'anniversario della rivoluzione e fino alla vittoria. 
(Testo raccolto da Francesca Paci)

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