Testata: Il Foglio Data: 12 settembre 2023 Pagina: 1 Autore: Paola Peduzzi Titolo: «Il contro-G20 a Kiev»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 12/09/2023, a pag. 1, con il titolo 'Il contro-G20 a Kiev', l'analisi di Paola Peduzzi.
Paola Peduzzi
Milano. Nelle stesse ore in cui il consesso internazionale del G20 si rassegnava alla cautela e alle pretese della Russia, a Kyiv i sostenitori dell’Ucraina si sono riuniti in una gigantesca “war room” fatta di leader politici, esperti, giornalisti e imprenditori per discutere di quanto sia necessaria, urgente e cruciale la sconfitta di Vladimir Putin per tutto il mondo. “Il dilemma è molto semplice: bisogna contenere la guerra contro l’Ucraina o voi, noi e tutto il genere umano dovrà combattere in futuro un conflitto globale”, ha detto Victor Pinchuk aprendo i lavori della Yalta European Strategy (Yes), una conferenza che si tiene da molti anni e che ha cambiato location dal 2014: prima era a Yalta, in Crimea, oggi è a Kyiv, visto che Putin ha occupato la penisola. Pinchuk è l’ideatore di questo incontro: è un oligarca molto influente con un enorme network internazionale. Il suo nome e i suoi affari fanno storcere il naso a molti ucraini perché è considerato l’espressione di un’Ucraina che non ha saputo costruirsi, dopo l’indipendenza, un sistema statale realmente sano e indipendente: Pinchuk è sposato con la figlia dell’ex presidente ucraino Kuchma e per le nuove generazioni rappresenta un potere opaco più attento ai propri interessi e alle proprie correnti che all’interesse nazionale. Non esistono, tra gli ucraini che vogliono costruire un paese europeo e liberale, oligarchi buoni o oligarchi cattivi: loro aspirano a un cambiamento radicale di tutto il sistema. Ma naturalmente capiscono che l’iniziativa di Pinchuk è rilevante perché permette di creare una solida e generosa rete di sostegno al paese, in un momento in cui è necessario e altri partner occidentali, con molta opinione pubblica, diventano più freddi sull’aiuto all’Ucraina fino alla vittoria. In un paese in cui il tempo si scandisce con “prima dell’invasione su larga scala della Russia” e “dopo la vittoria”, il coro della Yes conference, con le sue analisi e le sue donazioni, è rilevante per molte ragioni, in particolare per tenere su il morale di una nazione esausta ma indefessa. La riunione della Yes è sempre accompagnata da una buona dose di segretezza: gli invitati non possono dire nulla dell’incontro se non dopo che si è chiuso, le indiscrezioni sono bandite. Come spesso accade la segretezza ha un effetto doppio: consente una maggior sicurezza ma avvolge l’evento di un’opacità che viene strumentalizzata dal mondo anti ucraino che vede muoversi su quel palco ogni genere di complottismo – e una figura polarizzante e molto nota come Pinchuk non aiuta. In realtà, quando poi quel che si è detto e discusso nella “Yes war room”, nei colloqui a latere e anche nelle chiacchiere non ufficiali, diventa pubblico, si scopre che lì non ci sono ambiguità né riluttanze: c’è l’intento esplicito di non abbassare la guardia nei confronti del terrorismo russo, di non sminuire il valore dell’unità degli alleati di Kyiv, di non lasciare che stanchezza e rassegnazione abbiano la meglio. Il leader internazionale più citato da chi ha partecipato alla conferenza è l’ex premier britannico Boris Johnson, scompigliato e preciso al tempo stesso, come sempre lo è stato sulla difesa ucraina: “La cosa più importante per il mondo è dimostrare che i nostri valori, democrazia e libertà, sono difesi fino a che l’ultimo soldato non si sarà ritirato dal suolo” ucraino, ha detto Johnson ribadendo che “un accordo negoziato sull’Ucraina” non è un’opzione, non certo per mancanza di buona volontà di Kyiv ma per l’assoluta e comprovata mancanza di credibilità di Putin. “Prigozhin ci ha provato e guardate che fine ha fatto”, ha detto l’ex premier britannico, riferendosi all’ex leader della Wagner che ha sfidato il presidente russo, ha tentato un accomodamento ed è rimasto ucciso nell’esplosione in volo dell’aereo su cui viaggiava. Boris Johnson non ha usato parole dure nei confronti della lentezza delle forniture di armi da parte degli alleati occidentali, ma ha utilizzato una delle sue consuete espressioni colorite per spiegare che i tentennamenti possono avere effetti devastanti: sull’ingresso dell’Ucraina nella Nato, abbiamo cercato di soffiare e inspirare nello stesso istante”, ha detto, e il risultato non può che essere un soffocamento di cui i russi sono pronti ad approfittare. Sul palco della Yes conference sono passati tutti i leader ucraini, si è parlato di armi, di strategia militare, di ricostruzione, di protezione del paese e soprattutto dei suoi abitanti. Volodymyr Zelensky ha ribadito la determinazione ucraina nel riconquistare l’intera sovranità internazionale e in un’intervista all’Economist ha detto che ogni tentennamento è un aiuto alla Russia (ha anche detto che è convinto che Donald Trump, se rieletto, non si schiererà mai con Putin). L’anno scorso, in questa stessa occasione, il morale era molto più alto, ma le testimonianze e i racconti sul palco dal fronte e dalla vita quotidiana nelle città ucraine non lasciano spazio ad alternative che non siano la sconfitta della Russia. Qualcuno ha provato a spiegare la questione con termini più semplici e concreti contro le pontificazioni geopolitiche: Putin vuole che gli ucraini soffrano, se vuoi vivere felice sei già un suo nemico, e combatti.
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