In Cisgiordania non c’è alcun apartheid: ancora una volta è necessario chiarire come stanno i fatti
Editoriale del Jerusalem Post, da Israele.net
A destra: Tamir Pardo
L’ex capo del Mossad Tamir Pardo è l’ultimo di una serie di ex alti funzionari israeliani che, spinti dal desiderio di mettere in crisi il primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo governo di destra, lanciano accuse non sostenibili. Mercoledì scorso, in un’intervista all’Associated Press, Pardo ha sostenuto che Israele attuerebbe una politica da “stato di apartheid” a danno dei palestinesi in Cisgiordania. Sebbene abbia limitato il suo commento alla Cisgiordania, c’è da star sicuri che le sue parole verranno usate per attaccare e screditare tutto Israele in ogni possibile forum internazionale. E il fatto che Pardo abbia ricoperto una posizione così importante dal 2011 al 2016 verrà usato per conferire maggiore credibilità alle sue parole. Sfortunatamente, tuttavia, il suo commento è fattualmente errato, e bisogna tornare a spiegare come stanno le cose. La Cisgiordania (Giudea e Samaria), che ospita più di due milioni di palestinesi e mezzo milione di israeliani, è divisa in tre sezioni – le Aree A, B e C – in base agli Accordi di Oslo del 1993/95 firmati da Israele e Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Dunque, la prima cosa da mettere in chiaro è che la situazione attuale, nel bene e nel male, non è frutto di una politica unilaterale di Israele, bensì di un dettagliato accordo negoziato e sottoscritto da entrambe le parti. Le aree A e B, che comprendono il 40% della Cisgiordania, sono sotto l’egida dell’Autorità Palestinese. Il resto della Cisgiordania, circa il 60%, è sotto il controllo militare e civile di Israele. Il quasi mezzo milione di israeliani che abitano nell’Area C vivono sotto il governo militare israeliano ma, in quanto cittadini israeliani, mantengono gli stessi diritti e doveri individuali di coloro che vivono all’interno dell’Israele sovrano. Anche i circa 300.000 palestinesi che abitano nell’Area C vivono sotto il governo militare israeliano, ma mantengono diritti e doveri collegati all’Autorità Palestinese.
Questa situazione, certamente non ottimale, non è un apartheid. Anzi, si può facilmente immaginare il putiferio che si scatenerebbe a livello internazionale se Israele osasse imporre unilateralmente la legge israeliana ai palestinesi che vivono in Cisgiordania. I cittadini israeliani hanno gli stessi diritti e doveri (come pagare le tasse e prestare servizio militare) ovunque vivano. I palestinesi, che non vogliono essere cittadini israeliani, invece no. Tuttavia, nonostante non siano e non vogliano essere cittadini israeliani, hanno facoltà di inoltrare petizioni alla Corte Suprema israeliana, e spesso esercitano questo diritto. Questa complicata situazione è il risultato del fatto che Israele prese il controllo di quei territori 56 anni fa durante la guerra dei sei giorni, una guerra che il mondo arabo scatenò contro lo stato ebraico con l’obiettivo dichiarato di annientarlo. Gli Accordi di Oslo, di cui ricorre in questi giorni il trentesimo anniversario, rappresentarono un tentativo di risolvere il conflitto attraverso un accordo negoziato, ma naufragarono nelle successive ondate di terrorismo stragista palestinese, nella retorica e nelle misure contro ogni normalizzazione con Israele, nei ripetuti rifiuti da parte palestinese di ogni soluzione di compromesso. È abbastanza bizzarro che un uomo come Tamir Pardo, che venne nominato a capo del Mossad da Netanyahu, abbia accettato di ricoprire una posizione così delicata per tanti anni se era convinto che il paese che difendeva stesse imponendo una politica immorale. La situazione di cui parla non è certo una novità: ebbe inizio molto prima che Netanyahu entrasse in politica. La calunnia dell’apartheid è diventata un’arma polemica costantemente brandita da enti come Amnesty International, Human Rights Watch e la singolarissima Commissione d’Inchiesta “illimitata” delle Nazioni Unite: enti che si concentrano esclusivamente sui presunti “crimini” di Israele allo scopo di delegittimare l’unico stato ebraico esistente al mondo. Fornire carburante all’istigazione anti-israeliana mediante distorsioni e false accuse non fa nulla per risolvere il conflitto con i palestinesi. Anzi, serve solo a perpetuare le ostilità. Se Pardo è veramente preoccupato per la sicurezza di Israele e per il benessere dei palestinesi, dovrebbe considerare attentamente le sue parole e le loro conseguenze. Questi attacchi da parte di Pardo e altri, ispirati dalla loro personale posizione contro l’attuale governo e il suo premier, non fanno altro che indebolire lo stato ebraico come tale (non il suo attuale governo) e incoraggiare i suoi nemici e detrattori. Paragonare la situazione attuale in Cisgiordania all’apartheid non solo fa torto a Israele (e a tutti i firmatari degli Accordi di Oslo ndr), ma sminuisce e banalizza ciò che i neri sudafricani dovettero patire durante il vero regime di apartheid in quel paese. È del tutto legittimo criticare Netanyahu e le sue politiche. Non lo è cercare di farlo diffamando l’intero paese.
(Da: Jerusalem Post, 10.9.23)