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Uno scandalo bavarese fa luce sulla ‘colpa della Germania per la Shoah’ Analisi di Ben Cohen
(traduzione di Yehudit Weisz)
Hubert Aiwanger Per gran parte di una settimana, la Germania è stata travolta da uno scandalo di antisemitismo incentrato su Hubert Aiwanger, il vice premier dello Stato della Bassa Baviera. Aiwanger, oggi 52enne, è stato accusato di aver stilato, quando nel 1987 era uno scolaro di diciassette anni, un volantino violentemente antisemita che parodiava la Shoah, che venne distribuito nella sua scuola e che lo portò a essere punito da un comitato disciplinare. I dettagli dello scandalo sembrano la trama di una cupa messinscena politica. Ci si potrebbe anche chiedere perché la stupidità giovanile di un politico assurga al livello di uno scandalo nazionale più di tre decenni dopo. In questo caso, è importante ricordare che questa è la Germania, dove incombe ancora il senso di colpa per l’Olocausto, insieme ad altre emozioni come rabbia, confusione, o semplicemente il desiderio che tutti i discorsi sul genocidio nazista finiscano una volta per tutte.
Il volantino dattiloscritto in questione è stato ritrovato, oltre ad altri luoghi, nel gabinetto del ginnasio Burkhart nel comune bavarese di Mallersdorf-Pfaffenberg, dove il giovane Aiwanger era studente. Non sorprende che, data la sua origine per mano di un adolescente (o di ragazzi, al plurale, la questione della paternità rimane ancora poco chiara), il contenuto del volantino sia riuscito ad essere allo stesso tempo repellente e puerile. Parodiando i concorsi nazionali di storia per gli studenti delle scuole, il volantino poneva domande del tipo: “Chi è il più grande traditore della patria?” con il “premio”, in questo caso, di “un volo omaggio attraverso il camino di Auschwitz.” Altri “premi” includevano un “soggiorno per tutta la vita in una fossa comune”, “un colpo gratis alla nuca”, “un biglietto per il quartiere dei divertimenti di Auschwitz” e un “pernottamento in cella della Gestapo, poi un viaggio a Dachau.”
Dopo essere stato apparentemente dimenticato per più di 30 anni, il volantino è stato ritrovato e poi sbattuto in prima pagina della Sueddeutsche Zeitung di Monaco nell'edizione di sabato scorso . In ogni caso, una storia come questa genera un enorme interesse in Germania, e questo è vero soprattutto per Aiwanger, dato che il suo Partito dei Liberi Elettori (Freie Wähler), attualmente partner di minoranza della coalizione nel governo dello stato bavarese con l’Unione Cristiano-Sociale, correrà per le elezioni parlamentari statali l'8 ottobre. Subito dopo la pubblicazione dell'articolo, Aiwanger ha negato categoricamente di esserci lui dietro il volantino, promettendo che il suo vero autore si sarebbe fatto avanti. Più tardi lo stesso giorno, l'altro “H. Aiwanger”, che frequentava il ginnasio Burkhart (il fratello di Hubert, Helmut), ha rilasciato una dichiarazione affermando di esser stato lui a stilare il volantino.
“Mi vergogno di questo atto e, soprattutto, chiedo perdono a mio fratello per le difficoltà causate già a suo tempo, che continuano ad avere effetti 35 anni più tardi,” ha affermato. Ma questo non è bastato a trarre d’impaccio Hubert Aiwanger. La presenza del volantino nel suo zaino, cosa che ha ammesso, indicava che era almeno coinvolto nella sua distribuzione, e questo è sufficiente a spingere i partiti di opposizione di tutte le fazioni e i leader ebrei tedeschi ad appoggiarsi al primo ministro bavarese Markus Söder, affinché licenzi il suo vice. Söder, spesso dipinto come il futuro cancelliere federale tedesco, finora ha affrontato la controversia con cautela, sostenendo che un articolo su un giornale non è sufficiente per un licenziamento definitivo, ma anche dando istruzioni ad Aiwanger di presentare risposte scritte a 25 domande che facciano luce su come il volantino venne prodotto e distribuito. Nel frattempo, i media tedeschi hanno ricercato con entusiasmo nuovi dettagli, nessuno dei quali ha fatto alcun favore ad Aiwanger. Un ex compagno di classe ha detto che Aiwanger era incline a fare il saluto hitleriano quando entrava in una classe e che gli piaceva imitare i discorsi di Hitler. Un altro compagno di classe si è lamentato perché aveva fatto battute antisemite “ripugnanti” dopo una visita di classe a un memoriale della Shoah, accompagnate da un’altra sui “bambini che muoiono di fame in Africa.” E ancora un terzo ha affermato che Aiwanger a scuola veniva spesso visto brandire una copia del Mein Kampf , il manifesto di Hitler scritto in prigione dieci anni prima che il leader nazista salisse al potere.
Giovedì scorso Aiwanger ha tentato di tenere a bada i suoi critici in una conferenza stampa a Monaco. Dopo aver chiesto scusa alle vittime dell’Olocausto e ai loro discendenti per il volantino – per la qual cosa gli ci è voluta quasi una settimana – Aiwanger ha poi descritto se stesso e il suo partito come vittime di una campagna diffamatoria volta a distruggere la sua carriera politica. Sarebbe ingenuo pensare che non ci fosse alcun motivo politico dietro la diffusione dello scandalo, soprattutto perché Aiwanger è un schietto populista di destra. Anche così, le domande scomode rimangono. Se, come sembra probabile dalle testimonianze dei testimoni e dalle sue stesse ammissioni, Aiwanger aveva queste opinioni riprovevoli da adolescente, a che punto, e se del tutto, le ha abbandonate? E un politico nella Germania, iniziatrice e carnefice dell’Olocausto, dovrebbe continuare a ricoprire la carica se tiene questo tipo di scheletri nell’armadio?
"Chi pensa, scrive e diffonde tali pensieri non deve assumersi alcuna responsabilità politica in Germania", ha dichiarato Saskia Esken, presidente del Partito socialdemocratico di centrosinistra. E molti nell’establishment tedesco sarebbero d’accordo.
Ma, a quanto pare, gli elettori tedeschi no. Un sondaggio condotto dall'Augsburger Allgemeine ha rivelato che il 53% degli elettori ha sostenuto Aiwanger perché rimanga al suo posto, una cifra che sale al 62% tra gli intervistati in Baviera. La verità è che, per quanto si presentino al mondo esterno come solenni custodi della memoria dell’Olocausto, la Germania e i tedeschi continuano a non ricoprire questo ruolo. Solo in questo decennio abbiamo assistito a violente manifestazioni antisioniste nelle principali città tedesche che chiedevano la distruzione di Israele; si registrano almeno cinque episodi di antisemitismo ogni giorno (Felix Klein, il principale funzionario del governo federale che combatte l'antisemitismo, mi ha detto recentemente che il numero reale è più vicino a 25); e una prestigiosa mostra d'arte contemporanea era piena di dipinti e installazioni antisemite. Non c'è da stupirsi, quindi, che Aiwanger, anche se chiede scusa alle vittime dell'Olocausto, rimanga fermamente convinto che qualunque cosa abbia fatto con il volantino, non giustifica il suo esilio dalla vita politica. Christoph Heubner, presidente del Comitato internazionale di Auschwitz, ha osservato che se Aiwanger rifiutasse di ritirarsi dalla politica, “ovunque apparirà in futuro, le frasi di quel volantino vergognoso saranno sempre presenti”. Forse. O forse è un pio desiderio. Ciò che lo scandalo Aiwanger suggerisce, soprattutto, è che il senso di responsabilità della Germania per l’Olocausto – ciò che chiamiamo in modo un po’ goffo “ senso di colpa per l’Olocausto” – sta diminuendo, indipendentemente da ciò che i suoi politici tradizionali dicono ai media statunitensi ed europei.
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate
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