La diplomazia di Israele, dopo la Libia, ha un problema Commento di Fabiana Magrì
Testata: Il Foglio Data: 01 settembre 2023 Pagina: 3 Autore: Fabiana Magrì Titolo: «La diplomazia di Israele, dopo la Libia, ha un problema»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 01/09/2023, a pag. 3, con il titolo "La diplomazia di Israele, dopo la Libia, ha un problema", l'analisi di Fabiana Magrì.
A destra: il ministro degli esteri israeliano Eli Cohen e la sua ex omologa libica Najila al Mangoush
Fabiana Magrì
Gerusalemme. Si continuano ad analizzare, in Israele, le conseguenze dell’errore strategico compiuto dal ministro degli Esteri Eli Cohen che, domenica 27 agosto, ha approvato la diffusione di un comunicato stampa dai toni celebrativi sull’incontro “storico” a Roma, la settimana precedente, con la collega libica Najla Al Mangoush. Il giallo politico e diplomatico – chi sapeva cosa rispetto all’appuntamento, alle modalità con cui si è svolto, ai contenuti di cui si è discusso, alla decisione di divulgarlo e in quali tempi – ha scatenato in Libia una reazione violenta e ha scoperto il fianco, già non molto protetto, del premier Abdelamid Dabaiba in una fase delicata in cui il futuro del suo governo ad interim è in discussione. La ministra libica Mangoush è stata prima sospesa e poi licenziata – il suo incarico ad interim è stato affidato al ministro della Gioventù, Fathallah Abdullatif al Zini – mentre riparava in Turchia per salvare la pelle. In Israele Benjamin Netanyahu non ha specificato se fosse o no al corrente dell’imminente pubblicizzazione dell’incontro segreto. Comunque sia è motivo di imbarazzo per il premier che o avrebbe condiviso l’errore di valutazione o, altrettanto grave, sarebbe stato tenuto all’oscuro dal suo ministro. Stando agli accordi di coalizione che hanno preceduto la formazione dell’esecutivo, fra sei mesi Eli Cohen, che ricopre l’incarico agli Esteri da otto, dovrebbe cambiarsi di poltrona con Israel Katz alla guida di Infrastrutture, Energia e Acqua.
Joe Biden con Benjamin Netanyahu
Potrebbe darsi che Netanyahu acceleri questo passaggio. Anche come gesto riparatore nei confronti del governo italiano che, tra gli attori coinvolti, è quello con i maggiori interessi in Libia e nei tentativi di stabilizzazione del paese. “Il primo danno in questa vicenda – ha commentato in un briefing per la stampa, al quale il Foglio ha partecipato, Haim Tomer, ex capo della divisione Intelligence e Operazioni estere e della divisione Tevel di cooperazione e diplomazia in materia di intelligence del Mossad – è all’asse Italia-Israele.” Ora la ferita è aperta ma gli interessi reciproci basteranno a rimarginarla. Si vedrà a fine ottobre, nel corso del vertice bilaterale governativo, con la visita ufficiale a Gerusalemme della premier Giorgia Meloni e una vasta delegazione di ministri. Insomma, secondo la definizione di Tomer, si è trattato di “uno stupido piccolo affare” che ha danneggiato Israele su fronti più importanti di quello libico. “Certo la Libia è importante ma ancora di più lo è l’Arabia Saudita. In base ai colloqui che ho avuto con persone a Washington nelle ultime ore – sostiene Tomer – l’effetto maggiormente negativo di questa storia è sulla questione saudita”. “A Israele e a Washington corre voce che nel prossimo summit delle Nazioni Unite a settembre ci potrebbe essere un’opportunità per organizzare un incontro tra il presidente Biden e il premier Netanyahu. Forse anche con alti rappresentanti sauditi. Penso che in questo senso l’affare con la Libia sia stato un grave errore. Per stringere un accordo strategico con l’Arabia Saudita la discrezione è fondamentale. L’affare Libia mette Israele nella posizione di essere percepita come incapace di gestire qualcosa in segreto”. Circostanza che l’ex dirigente del Mossad attribuisce alla violazione di una tradizione e di una regola non scritta secondo cui le relazioni segrete con paesi che non intrattengono relazioni diplomatiche con Israele ricadevano nella sfera di azione del Mossad. Ma secondo lui nell’ultimo decennio, con l’affidamento degli Esteri a individui con ambizioni politiche, “anche prima di Eli Cohen” precisa Tomer, le considerazioni politiche starebbero prendendo il sopravvento sulle decisioni. Questo sarebbe il caso, in una delle sue ipotesi, della scelta di Cohen di rendere noto l’incontro romano con la collega libica. Oppure, avanzando una seconda ipotesi, si sarebbe trattato di “mancanza di esperienza”. Non crede invece alla versione del ministro che ha sostenuto di aver capito che i libici avessero capito che l’informazione sarebbe stata resa pubblica: “Ho preso parte a tanti incontri di questo tipo e so che si inizia e si finisce con l’impegno delle parti di mantenere il segreto”. Ad avanzare un’ulteriore ipotesi è Eitan Charnoff sul Jerusalem Post, dove scrive che pubblicizzare l’incontro in Libia potrebbe essere stato un modo, per il governo accusato di razzismo e criticato per non aver fermato la criminalità del settore arabo, di mostrarsi “amichevole” con gli arabi. Che “il panico e il lutto” in Israele di fronte alla mancata opportunità di aggiungere un altro paese agli Accordi di Abramo siano eccessivi è ciò che sostiene Zvi Bar’el su Haaretz. “Nonostante i colloqui tra funzionari statunitensi e governo libico sulla possibilità di normalizzazione con Israele, non ci sono prove che Tripoli intendesse firmare un accordo ufficiale con Gerusalemme”, ha scritto l’analista militare e politico. “Ma anche se il governo libico dovesse annunciare piene relazioni diplomatiche con Israele – continua – tale dichiarazione non avrebbe senso finché non esisterà un governo unificato che rappresenti la maggioranza dei gruppi politici del paese”. Il 28 agosto un volo Air Seychelles è atterrato in emergenza a Gedda. I passeggeri (oltre 120 israeliani) sono stati portati in un hotel all’interno del terminal mentre attendevano l’arrivo di un apparecchio sostitutivo. Il tutto è stato gestito dai sauditi in una sorta di canale aperto con gli israeliani. “C’è una base per i colloqui nonostante gli errori di Bibi”, osserva Haim Tomer. “Tutti in medio oriente conoscono molto bene la sua personalità e le sue tendenze, i suoi pro e i suoi contro. Ma ci sono pesi strategici che è importate ricordare”. Il presidente americano Joe Biden è in campagna elettorale e vorrebbe moltissimo ottenere qualcosa che possa essere descritto come un successo. Mohammed bin Salman ha affari urgenti di cui occuparsi, dalla crescita della superiorità strategica dell’Iran e l’indebolimento degli Stati Uniti nella regione al futuro del mercato del petrolio. E questo governo in Israele ha bisogno, non meno degli americani e dei sauditi, di portare a casa successi strategici. “Ci sono stati alti e bassi nella relazione tra Arabia Saudita e Israele. Ma adesso – è convinto l’ex del Mossad – siamo in una cornice di opportunità in cui gli errori di Bibi sono meno rilevanti”. Certo, la risposta di Israele sarebbe potuta essere più rapida e avrebbe dovuto enfatizzare che si è trattato di un equivoco. “Nessuno finora si è scusato pubblicamente di aver causato imbarazzo al governo della Libia. Di tanto in tanto, tra paesi così come tra esseri umani, sarebbe intelligente dire ‘mi dispiace’”.
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