Quella in Ucraina non è “la guerra di Biden” Analisi di Paola Peduzzi
Testata: Il Foglio Data: 29 agosto 2023 Pagina: 1 Autore: Paola Peduzzi Titolo: «Questa non è “la guerra di Biden”»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 29/08/2023, a pag. 1, con il titolo 'Questa non è “la guerra di Biden” ', l'analisi di Paola Peduzzi.
Paola Peduzzi
Volodymyr Zelensky con Joe Biden
Milano. Volodymyr Zelensky è isolato, gli alleati dell’Ucraina sono insofferenti, l’unità del sostegno a Kyiv si sta sfaldando: il dibattito internazionale nelle ultime settimane si è articolato attorno a questa ennesima stanchezza nei confronti della guerra di Vladimir Putin contro l’Ucraina. Ad alimentarlo non sono i paesi e i governi che più si stanno spendendo per aiutare l’Ucraina: uno dei motori più potenti è rappresentato dal mondo conservatore americano e in particolare da uno dei suoi centri studi più influenti, l’Heritage Foundation, la cui autorevolezza si era cementata durante la presidenza Reagan. Oggi questo pensatoio di Washington è tra i principali sabotatori dell’impegno americano a sostegno di Kyiv: quella che era la necessaria difesa della libertà ucraina e dell’occidente è diventata “la guerra di Biden”. C’è un numero che ricorre spesso tra i repubblicani contrari agli aiuti all’Ucraina – esponenti politici di primo piano, candidati alle primarie del 2024; gli elettori repubblicani sono, secondo le rilevazioni, stanchi del conflitto ma meno riluttanti dei loro leader – ed è: 900 dollari. Il numero è stato messo in circolo dall’Heritage Foundation che sostiene che questo sia il costo finora sostenuto da ogni cittadino americano per difendere l’Ucraina. Un costo non voluto, naturalmente: è il presidente, Joe Biden, che ha deciso – lo ha fatto il Congresso con voti bipartisan, ma nella propaganda anti ucraina questo elemento si perde. Anche perché i 900 dollari a testa sono stati messi a confronto con i 700 dollari a testa che la Casa Bianca ha invece destinato alle Hawaii colpite dagli incendi: “Biden ha dato 700 dollari alle vittime delle Hawaii – ha scritto l’Heritage Foundation sul suo account X – ma gliene ha presi 900 e li ha spediti in Ucraina. A sinistra c’è Kyiv, a destra c’è Maui”, si concludeva il post con una foto di persone a passeggio per la capitale ucraina e una della devastazione causata dai roghi sull’isola di Maui. Il messaggio è sulfureo ma chiaro, non foss’altro perché viene ripetuto con insistenza dall’ex presidente Donald Trump e da molti altri conservatori, compreso il governatore della Florida Ron DeSantis: la Casa Bianca leva soldi agli americani per darli all’Ucraina, “la guerra di Biden”. Poco importa che i calcoli non tornino (l’Amministrazione americana ha stanziato poco più di 40 miliardi di dollari in aiuti militari, finanziari e umanitari, gli americani sono 330 milioni), bisogna convincere gli elettori che in gioco non ci sono la sicurezza e la democrazia dell’America e dell’occidente, ma soltanto gli interessi di Biden, ed eventualmente di suo figlio Hunter. L’Heritage Foundation ha perso il suo afflato liberale e democratico con l’avvento del trumpismo ma all’inizio dell’invasione russa in Ucraina era a favore degli aiuti a Kyiv, non tanto per questioni ideali ma perché convinta da sempre che la sicurezza americana sia legata a quella internazionale e che l’investimento massiccio nella Difesa sia indispensabile per tutelare l’interesse nazionale. Poi però ha cambiato idea e ha cominciato a contrastare i pacchetti di aiuti via via richiesti dalla Casa Bianca e passati al Congresso, dicendo – il caso delle Hawaii e della legge per aiutare gli stati colpiti da calamità naturali – che tutta la politica domestica degli Stati Uniti è in ostaggio dell’assistenza all’Ucraina: per questo, sostiene il centro studi, Biden deve fornire un piano per mettere fine a una guerra dispendiosa, e fino ad allora il Congresso non dovrebbe più approvare alcun finanziamento per la difesa ucraina. Questo cambiamento ha portato a molte dimissioni tra gli esperti dell’Heritage Foundation (anche tra chi si occupa di Cina: questo è un pensatoio critico nei confronti di Pechino e parecchi sottolineano che una Russia più forte sarebbe un problema ulteriore per la gestione della questione cinese), ma sono state fatte le sostituzioni senza troppi sforzi perché gran parte del mondo conservatore americano è convinto di poter sconfiggere i democratici trasformando la difesa dell’ordine liberale in una fissazione di Biden”. Ci sono iniziative di repubblicani che contrastano questa visione: dicono che il punto di svolta dell’Heritage Foundation in chiave antiucraina abbia coinciso con una partnership con il centro studi ungherese Danube Institute, vicino al premier Viktor Orbán, e fanno il tifo per la candidata repubblicana alle primarie Nikki Haley.
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante