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israele.net Rassegna Stampa
25.08.2023 La piaga della criminalità comune fra gli arabi d’Israele: racket, bande in guerra per gli appalti, faide fra clan, delitti “d’onore”
Intervista a Badi Hasisi, da Israele.net

Testata: israele.net
Data: 25 agosto 2023
Pagina: 1
Autore: la redazione di Israele.net
Titolo: «La piaga della criminalità comune fra gli arabi d’Israele: racket, bande in guerra per gli appalti, faide fra clan, delitti “d’onore”»
La piaga della criminalità comune fra gli arabi d’Israele: racket, bande in guerra per gli appalti, faide fra clan, delitti “d’onore” 
Intervista a Badi Hasisi, da Israele.net

A destra: Badi Hasisi

L’incessante ondata di violenza criminale che dilaga nella comunità arabo-israeliana sta ora investendo anche la sfera politica, a due mesi dalle elezioni locali, mettendo in serio pericolo i funzionari delle municipalità arabe. E’ l’allarme che lancia un esperto locale, dopo che nei giorni scorsi sono stati assassinati un leader municipale e un candidato sindaco. Abdul Rahman Kashua, direttore generale del comune arabo di Tira, nel centro di Israele, è stato ucciso lunedì sera in circostanze poco chiare. Il giorno dopo, martedì, quattro persone sono state uccise in una sparatoria nella città settentrionale di Abu Snan: tra loro, un candidato a sindaco e due suoi famigliari. Questi ultimi omicidi contribuiscono a fare del 2023 un anno record in fatto di crimini violenti nella società araba d’Israele. Secondo il gruppo anti-violenza Abraham Initiatives, dall’inizio dell’anno sono stati uccisi 156 membri della comunità araba israeliana, la maggior parte nel corso di sparatorie. Nello stesso periodo dello scorso anno gli arabi israeliani uccisi in crimini comuni erano stati 68. La sequela di omicidi fa parte di un’ondata di criminalità violenta che ha travolto la comunità araba negli ultimi anni. Molti leader della comunità accusano la polizia che, secondo loro, non ha saputo reprimere potenti organizzazioni criminali e che in gran parte avrebbe ignorato l’aumento delle violenze. Inoltre incolpano decenni di abbandono da parte degli enti governativi come una delle cause principali del problema. Altri osservatori ricordano che all’alto tasso di violenza contribuiscono anche infinite faide famigliari, spesso coperte da impenetrabili omertà, e il persistente fenomeno dei femminicidi per cosiddetti “delitti d’onore”. 

L’assassinio di Tira ha scosso la comunità araba e allarmato il governo perché il suo obiettivo era un funzionario eletto, un “simbolo di governo” come ha detto il ministro degli interni Moshe Arbel. Martedì, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto che “è stata superata la linea rossa” e si è impegnato a coinvolgere nella risposta i servizi di sicurezza Shin Bet. “I funzionari locali nelle nostre comunità hanno vita molto difficile – dice in un’intervista a Times of Israel Badi Hasisi, direttore dell’Istituto di Criminologia presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Gerusalemme – Sono sottoposti a forti pressioni da parte dei portatori di interessi locali, siano essi famiglie potenti o bande criminali. L’ingerenza nella politica locale non è un fenomeno nuovo e non riguarda esclusivamente la società araba, ma è molto più diffusa nelle nostre città e nei nostri paesi. Il governo locale riveste un posto centrale nella vita dei cittadini arabi – spiega Hasisi – Benché gli elettori arabi si presentino per lo più con bassa affluenza alle elezioni politiche per la Knesset, il loro tasso di affluenza al voto è due volte più alto quando si tratta delle elezioni municipali. Tutti vogliono giocare una parte nel modo in cui viene gestita una città”. 

L’omicidio di lunedì non è il primo caso, quest’anno, di violenza letale contro un funzionario arabo eletto. Ad aprile, una guardia di sicurezza del sindaco della città arabo-israeliana di Taibe è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco davanti all’abitazione del sindaco. Il prossimo 31 ottobre si terranno in tutto Israele le elezioni municipali. Funzionari locali arabi dal nord al sud hanno denunciato atti di intimidazione e minacce, come spari davanti alle loro case, auto incendiate e persino il lancio di una granata. Martedì sera, durante una riunione di gabinetto, diversi ministri hanno suggerito di annullare o rinviare le elezioni municipali nelle città arabe a causa dell’aumento di minacce e violenze nei confronti dei candidati alle cariche. Tuttavia, la procuratrice generale Gali Baharav-Miara ha respinto l’idea, affermando che violerebbe i diritti democratici dei cittadini arabi. “Naturalmente – continua Hasisi – gran parte delle minacce e delle pressioni sui leader locali provengono dalla criminalità organizzata. I direttori generali, come la vittima di lunedì, sono i principali decisori quando si tratta di appalti pubblici, ad esempio per la rimozione dei rifiuti, dove sono in gioco ingenti somme di denaro”. Alcuni osservatori hanno sottolineato che, paradossalmente, ogni aumento delle sovvenzioni statali destinato a migliorare le condizioni sociali nelle municipalità arabe scatena ulteriori e più feroci lotte fra bande criminali per l’assegnazione gli appalti. “Ma a volte – aggiunge Hasisi – conflitti violenti possono scoppiare per questioni molto banali: un marciapiede o un lampione non collocato dove qualcuno lo ha richiesto può essere percepito come una mancanza di rispetto verso un determinato clan e può portare alla delegittimazione dell’autorità locale e a ulteriori tensioni. Non è sempre una questione di criminalità organizzata”. La differenza principale tra un diverbio che finisce con una rissa e una che finisce con un omicidio è l’estrema disponibilità di armi. “Gli arabi – spiega Hasisi – costituiscono il 22% della popolazione israeliana, ma il 94% delle sparatorie in Israele avviene nelle comunità arabe. In effetti, esiste una certa propensione alla violenza nella società araba – aggiunge – ma il tasso di omicidi comuni tra gli arabi israeliani è significativamente più alto che tra i palestinesi in Cisgiordania. La ragione è semplice: l’Autorità Palestinese sa come imporre l’ordine nelle strade e fra clan delle città palestinesi. Sa quando, dove e come intervenire. La polizia israeliana no. Lo stato israeliano è debole di fronte alla criminalità comune”. 

Da mesi si discute, negli ambienti governativi israeliani, del possibile coinvolgimento dei servizi di sicurezza Shin Bet nella lotta contro la criminalità delle comunità arabe. “Gli strumenti di cui dispone attualmente la polizia israeliana per prevenire e indagare la criminalità sono chiaramente inefficaci, quindi qualsiasi miglioramento è benvenuto – osserva Hasisi – Qualunque cosa possa impedire che i morti si accumulino davanti ai nostri occhi è benvenuta, davvero. Purché venga fatta nel quadro della nostra democrazia, con i controlli e contrappesi appropriati”. Tuttavia, l’applicazione degli strumenti di una forza di sicurezza antiterrorismo in un contesto civile presenta molte difficoltà. “In Cisgiordania – dice Hasisi – lo Shin Bet agisce per neutralizzare i terroristi puntando a catturarli o ucciderli nel contesto di un conflitto militare. In un contesto civile dovrebbe muoversi in modo completamente diverso, riconfigurando i suoi metodi operativi. Ma si può fare. Certo, i criminali all’interno di Israele stanno molto attenti a non commettere reati contro la sicurezza nazionale, perché sanno che se venisse coinvolto lo Shin Bet scatterebbe contro di loro l’accusa di terrorismo, che è molto più pesante. Sanno come manipolare la legge e come farla franca incorrendo in sanzioni relativamente modeste per i loro crimini”. Continua Hasisi: “Vent’anni fa la polizia si rese conto che c’era un problema specifico nelle comunità arabe. Iniziarono ad aprire più stazioni di polizia nelle città arabe aumentando il numero degli agenti, ma non è bastato. La vera differenza si fa quando si confiscano armi su larga scala. L’entità dell’intervento deve essere commisurata all’entità del problema. Mandare qualche pattuglia in più con alcune auto in una città di notte non è sufficiente”. 

Sotto il precedente governo guidato da Naftali Bennet e Yair Lapid era stato istituito uno speciale organismo inter-ministeriale per combattere la criminalità nelle comunità arabe. Il parlamentare Yoav Segalovich, del partito Yesh Atid di Lapid, un veterano delle unità investigative e di intelligence della polizia, era stato nominato coordinatore dell’agenzia e lo Shin Bet era stato coinvolto in un ruolo consultivo. Segalovich era allora viceministro della pubblica sicurezza. “Si cominciarono a vedere i primi risultati tangibili – commenta Hasisi – I rappresentanti governativi si presentavano nelle città arabe chiedendo ai funzionari locali quali fossero le loro esigenze. Il tasso di omicidi era diminuito. Abbiamo assistito a una cooperazione e un intervento autentici. L’attuale coalizione di governo chiaramente se ne disinteressa. Al di là della retorica sul ‘ristabilire la governance’ nelle comunità arabe espressa da alcuni membri del governo, sul terreno non vediamo accadere nulla. Se la coalizione al governo è seriamente intenzionata a combattere il crimine, non può rivolgersi ai leader arabi con un atteggiamento di superiorità. Devono entrare in dialogo con loro. Ma le priorità di questo governo sono evidentemente altre. Il governo fa chiacchiere e proclami, ma non mette in pratica i fatti e i criminali sono stati i primi a rendersene conto”. 
(Da: Times of Israel, israele.net, 23.8.23)

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