Un articolo vergognoso Invitiamo i lettrori di IC a protestare a La Stampa
Testata: La Stampa Data: 26 maggio 2003 Pagina: 1 Autore: Igor Man Titolo: «La caduta di un tabù»
C’E’ un tempo per ogni cosa», dice l’Ecclesiaste. Il «sì», di principio, del governo (di destra) israeliano alla Road Map (il piano di pace del quartetto Usa, Ue, Russia, Onu), è una buona notizia. La pace rimane «lontana e sola» ma nel tunnel dell’angustiato presente il «sì» di Gerusalemme accende una fiammella di speranza. E questo perché, lasciando da parte gli emendamenti israeliani e le perplessità palestinesi, il governo di Israele ha in fatto rotto il più ostinato dei tabù: l’idea di uno Stato palestinese in Terra Santa, spalla a spalla con quello ebraico. Nel 1947 quando l'Onu proclamò la spartizione della palestina in due stati indipendenti, uno ebraico e uno palestinese, gli Ebrei accettarono. Gli Arabi no. Il «sì» alla costituzione di uno Stato palestinese indipendente, entro l’anno 2005, è dunque un fatto storico? Forse. Non siamo ancora all’ouverture ma è anche vero, e ciò va detto a correzione d’uno scetticismo di rigore, che per la prima volta nella Storia, una storia sferruzzata di odio e di massacri, un governo israeliano riconosce formalmente il diritto dei palestinesi ad avere un proprio Stato. Sovrano. «E’ venuto il momento di dire sì agli americani [Bush punta la sua rielezione anche sulla Road Map] e, per conseguenza, accettar di dividere questa terra con i palestinesi»: così Sharon. Non si deve andare molto lontano con la storia per sapere che più governi israeliani hanno provato piani di pace: non si ricorda di Rabin e di Barak? Oppure un po' più indietro con Begin a Madrid? Ci sono anche «motivazioni pratiche» che spingono al «sì» il governo israeliano: l’economia di Israele subisce una delle crisi più drammatiche, la recessione appare domabile solo col contributo dell’alleato-protettore, gli Usa. E, infatti, al prossimo vertice di giugno, Bush-Abu Mazen-Sharon a Sharm el-Sheik, la crisi economica della regione disputa il primo posto nell’agenda dei lavori alla Road Map. Ora, mentre i palestinesi avrebbero accettato il documento in toto, il «sì» di Israele appare disturbato da non poche «riserve di merito e di diritto», risultando, alla fine, ambiguo: il governo di Sharon ha adottato una risoluzione che nega il diritto del ritorno ai rifugiati palestinesi, coloro cioè che furono costretti, nel 1948, ad abbandonare le proprie case, la terra natia, sotto la pressione bellica-propagandistica di Israele. Ecco l'esperto di Medio Oriente che dice il falso e distorce la storia: quei palestinesi che lasciarono le loro case nel 1948 seguirono il consiglio degli stati arabi che dichiararono guerra a Israele, promettendo che "avrebbero buttato a mare gli Ebrei", e Igor Man dovrebbe sapere dove è finita quella gente che ha creduto nelle promesse arabe. Se tuttavia la trattativa avrà finalmente luogo e andrà avanti senza colpi di mano, sarà possibile (ancorché non facile) trovare una soluzione che moduli sulle note del compromesso realistico l’insidioso spartito del Ritorno. Si dovrà e potrà trovare una formula esistenziale che salvi simbolicamente il diritto dei palestinesi, senza insidiare l’integrità demografica di Israele.
Stando così le cose, non resta che incrociare le dita. Un ostinato tabù è crollato, una piccola luce rischiara il periglioso cammino della speranza. Ci si chiede soltanto: sarà possibile, se e quando il negoziato sulla Road Map avrà inizio, tenere fuori della porta Arafat? Sharon ne ha fatto una questione di principio (frutto dell’odio antico che divide i due vecchi duellanti: si battono sin dal 1982 allorché, occupando improvvidamente il Libano, Sharon s’era illuso di cancellare il problema palestinese facendo appunto fuori Arafat e i suoi fedayn); Arafat e i suoi fedayin non sono stati eliminati e "cancellati", anzi il raìs è riuscito a ricostruire il suo comando del terrore il Tunisia Bush lo segue, lo spalleggia. «Irrilevante»: così non senza razzista disprezzo, Sharon definisce il vecchio Abu Ammar. E' razzismo considerare qualcuno irrilevante? Ma Igor Man conosce il significato delle parole che usa? Ma se davvero Mister Palestina è irrilevante, con che criterio logico viene accusato, ossessivamente, di «complicità» con Hamas e con gli altri gruppuscoli intransigenti intimamente connessi allo stillicidio dei kamikaze? E, poi, che senso ha definire terrorista Arafat da parte di chi il terrorismo ha praticato durante anni ed anni, ritenendolo l’arma acconcia per sfiancare il nemico: gli inglesi, gli arabi?Anche Garibaldi era considerato un terrorista dai Borboni e sinanco dai Savoia, e tuttavia era e rimase, rimane «l’Eroe dei Due Mondi». La Storia legittima tutti: da Garibaldi a Sharon, a Begin, dai Gap che abbattevano gli occupanti nazisti ai vietcong. Non ci sembra che Garibaldi facesse saltare in aria mercati, teatri e luoghi di riunione comuni. Paragonare Arafat a Garibaldi è veramente vergognoso. Persino noi giovani partigiani che combattevamo in Roma occupata dai nazisti sfidando la morte con coraggiosa paura, venivamo definiti «comunisti-badogliani». La vittoria ci restituì libertà e dignità. Due doni preziosi che sarebbe antistorico e autolesionista negare ai palestinesi, al vecchio al Walid, padre e simbolo della Nazione palestinese. Una Nazione che per cattivo paradosso ha un governo ma non un territorio. Tuttavia, «c’è un tempo per ogni cosa».
Se i palestinesi si ritrovano nella situazione di oggi è colpa dei Arafat: senza uno stato e in una situazione economica disastrosa Invitiamo i lettori di informazionecorretta.com ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita