Israele: il terrorismo quotidiano con cui dobbiamo fare i conti nel generale silenzio dei media
Diario estivo israeliano di Deborah Fait
Come tutti i giorni accade, da mesi, da anni, da quando gli ebrei sono tornati nella loro terra, due cittadini israeliani sono stati ammazzati solamente perché parlavano ebraico nel posto sbagliato. Shai Nigerker , 60 anni, e suo figlio Aviad di 20 anni, erano andati in Samaria, a Huwara, per lavare la loro macchina e fare compere. Mentre si trovavano all’autolavaggio qualcuno li ha sentiti parlare in ebraico, la voce si è sparsa in un attimo. C’erano due nuove vittime da ammazzare, altri due ebrei da far fuori. In un attimo sono arrivati, li hanno circondati, hanno sparato. Fine della storia. I palestinesi, felici come sempre, si sono ingozzati di dolci e caramelle per festeggiare. Israele invece ha altri due ebrei da seppellire. Chi legge si chiederà cosa fossero andati a fare papà e figlio in quel villaggio arabo noto per essere un covo di terroristi. Lo ha spiegato, fra le lacrime, la compagna del padre. Tutti li conoscevano là, avevano amici arabi, nel corso della mattinata le avevano persino mandato alcune foto insieme a loro. Non avevano paura. Poi la notizia terribile, i loro -amici- non ci avevano pensato su due volte ad ammazzarli. Si conoscevano? Non conta. Erano due brave persone? Non conta niente. Erano ebrei e come tali, prima o poi, andavano ammazzati. Questo è il codice del disonore palestinese. Questo sono loro, assetati di sangue, aspettano il momento giusto, ti danno una pacca sulla spalla e ti uccidono. Così sono educati a fare, dalla nascita, infidi e feroci. Non conoscono altri valori, non ne hanno, non sanno nemmeno cosa sia l’onore. Vogliono il nostro paese ma non sanno nemmeno cosa sia la patria, non rispettano la terra, la bruciano, la ricoprono di sangue, il nostro, la dissacrano. Un ragazzo ebreo di 20 anni, morto per la fatica e per il caldo durante la tironut ( addestramento) ha scritto delle parole, un vero poema d’amore per la sua famiglia e per Israele. Parole che loro, gli assassini, i terroristi, non potranno mai capire ma le voglio riportare qui per comprendere la differenza che esiste tra la nostra gioventù e i suoi valori e loro, i nostri nemici.
Si chiamava Hillel Ofen e prima di andare soldato aveva scritto queste parole che suo padre, singhiozzando, ha letto al suo funerale:
“Appartengo.
Appartengo alla mia famiglia, alla mia comunità e alla mia nazione. Appartengo al mio stato e alla mia patria. Appartengo all'umanità, alla mia coscienza e alla dignità. Appartengo alla storia e al futuro. Appartengo alla gioia, al dolore, alla speranza e alla paura. Qualsiasi cosa e tutto ciò che sperimenterò, la mia nazione sperimenterà, che ha creato la mia identità sono io, e io appartengo ad essa. Sono obbligato a proteggere, difendere e sostenere tutto quanto ho scritto. Sono obbligato ad assicurare - con tutte le mie forze - la loro esistenza eterna. E ora, per questo impegno, appartengo. Appartengo alla mia arma, al bisogno di vittoria, alla battaglia.
Io Appartengo!
Che la terra gli sia lieve e che tutte le vittime israeliane di questa lunghissima guerra voluta da un popolo di terroristi, possano riposare in pace. Israele farà giustizia.