La Russia regge sul terreno ucraino ma il fronte interno si sgretola Commento di Anna Zafesova
Testata: La Stampa Data: 19 agosto 2023 Pagina: 3 Autore: Anna Zafesova Titolo: «La Russia regge sul terreno ucraino ma il fronte interno si sgretola»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/08/2023, a pag.3 con il titolo "La Russia regge sul terreno ucraino ma il fronte interno si sgretola" il commento di Anna Zafesova.
Anna Zafesova
Vladimir Putin
La chiusura degli aeroporti di Mosca per gli attacchi dei droni è ormai qualcosa di normale: ieri, per la prima volta, tutti e quattro gli scali della capitale russa hanno sospeso il funzionamento dopo l'arrivo di un velivolo senza pilota al centro esposizioni. Il danno è stato ridotto, come sempre finora: un padiglione espositivo sventrato, in quella che ormai è diventata la zona più pericolosa della città, il quartiere degli affari della Moscow City, la vetrina della ricchezza e della modernità e - fino a qualche anno fa - delle aspirazioni della Russia a competere sul mercato globale. Come commenta Aleksandr Nevzorov, il giornalista pietroburghese diventato dall'esilio uno dei critici più feroci del Cremlino, gli attacchi dei droni «non portano a Mosca l'orrore della guerra, si limitano a sputare in faccia ai generali tronfi, e alla loro antiaerea che fa schifo». Si tratta ancor di capire se i droni che si schiantano ormai con regolarità contro i grattacieli della City o le caserme nei dintorni di Mosca, siano veramente un'arma prevalentemente psicologica, o se lo scopo di questi attacchi sia quello di individuare i buchi delle difese moscovite per passare a sortite più pesanti. Il fatto che il senatore Andrey Klishas, uno dei principali legislatori del regime, ha proposto una legge che proibisca la pubblicazione delle notizie, e delle immagini, dei raid, fa pensare che l'attacco psicologico stia andando a segno. Mosca non si sente più invulnerabile, e l'indifferenza con la quale i suoi abitanti sembrano reagire ai droni, sembra più frutto di rassegnazione che di coraggio. Del resto, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov aveva già annunciato che si stava facendo «già tutto il possibile» per prevenire gli attacchi. Dichiarazione non proprio rassicurante, e il politologo Vladimir Pastukhov, che fin dall'inizio dell'invasione dell'Ucraina si è detto convinto che Vladimir Putin avrebbe finito con il ricorrere alla bomba atomica, cambia idea: «Se riuscite ad abbattere dei droni ucraini, assemblati artigianalmente grazie al crowdfunding, solo quando sono ormai in piazza Rossa, cosa farete contro le testate nucleari che la Nato lancerebbe in risposta a un attacco russo all'Europa?». Forse è proprio questa consapevolezza della propria debolezza che spinge sia il Cremlino che i suoi sudditi a una strana calma di fronte agli attacchi dei droni, così come di fronte all'epidemia di incendi ed esplosioni nelle fabbriche e nelle basi militari di tutta la Russia: ieri è stato il turno del porto di Novorossiysk. Ovviamente non tutti questi incidenti sono il risultato di un attacco di droni ucraini, o di attentati lanciati da una resistenza interna, ma è sintomatico che le autorità liquidano subito i roghi come provocati da cause comuni. Per quanto la caccia a una quinta colonna potrebbe essere tentante anche per alzare il livello di repressioni e paura, probabilmente il regime ritiene che confessare la propria vulnerabilità sia più dannoso: l'ondata di incendi dolosi ai commissariati militari, avvenuta qualche settimana fa a opera prevalentemente di persone anziane, è stata raccontata nei media come frutto di «manipolazioni di malintenzionati», che avrebbero ordinato ai vecchietti di lanciare bottiglie molotov contro gli uffici reclutamento per telefono. Una spiegazione assurda pur di non ammettere l'esistenza di uno scontento interno, e il politologo Abbas Galyamov stima il sostegno reale a Putin intorno al 30%, «che per le elezioni del 2024 diventerà il 25%, se va avanti così». La recente retata della polizia contro gli attivisti di Golos, una ong che monitora le elezioni, fa pensare che il Cremlino sia consapevole di questi numeri. Ottenere il risultato desiderato delle elezioni non sarà un problema: ieri la presidente della commissione elettorale centrale Ella Pamfilova ha dichiarato che «la Russia non ha bisogno di una democrazia all'occidentale». Ma delle elezioni palesemente truccate eroderebbero ulteriormente la legittimità del presidente, proprio mentre stanno scattando le nuove leggi contro i renitenti alla mobilitazione. Nei canali Telegram che raccontano i gossip del Cremlino si parla già della data della nuova chiamata alle armi, il 25 settembre, dei numeri - 400 mila riservisti - e delle categorie più colpite: i neo cittadini della Russia, prevalentemente immigrati dai Paesi ex sovietici, e poliziotti. Se fosse vero, dimostrerebbe che il regime si rende conto dello scontento di un elettorato che la propaganda militarista - gli spot e i manifesti che invitano i "veri uomini" ad andare a combattere sono ormai onnipresenti - non riesce a convincere a sacrifici per la patria. Una situazione nella quale il secondo fronte della guerra, quello economico, appare più pericoloso nell'immediato di quello militare. Il collasso del rublo, proprio nel 25° anniversario del default del 1998, ha fatto ricordare a molti che uno dei motivi della popolarità di Putin era stato proprio quello di aver garantito una relativa stabilità economica. Ora, le sanzioni internazionali sommate a una impennata delle spese militari, rendono quasi impossibile mantenere il cambio del rublo, ma il governo non ha osato reintrodurre la vendita obbligatoria dei dollari e degli euro guadagnati dagli esportatori, per sostenere la moneta. Una misura da crisi, che avrebbe prodotto scontento soprattutto tra gli oligarchi del regime.
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