Antisemitismo e nasi grossi Commento di Elena Loewenthal
Testata: La Stampa Data: 19 agosto 2023 Pagina: 29 Autore: Elena Loewenthal Titolo: «Se un naso grosso ha a che fare con l'arte e non con gli stereotipi dell'antisemitismo»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/08/2023, a pag.29, con il titolo "Se un naso grosso ha a che fare con l'arte e non con gli stereotipi dell'antisemitismo" il commento di Elena Loewenthal.
Elena Loewenthal
Qualche giorno fa è uscito un breve trailer del film che Netflix presenterà alla Mostra del Cinema di Venezia, che s'intitola Maestro e racconta un pezzo di biografia del grande compositore e direttore d'orchestra Leonard Bernstein (1918-1990). Regista e attore protagonista è Bradley Cooper, che per l'occasione è apparso sulla scena con un naso più pronunciato del suo. Su questo ritocco "plastico" per esigenze di copione si è scatenata una tempesta mediatica: Cooper è stato accusato di connivenze con stereotipi antisemiti e di pressapochismo per aver "osato", lui gentile (cioè non ebreo) interpretare un personaggio non gentile (cioè ebreo).Il critico Daniel Fienberg aveva già qualche tempo fa, con il film in lavorazione, avanzato il dubbio che quel naso fosse «un po' troppo grosso». Altre critiche sono arrivate ora, anche se i tre figli di Bernstein difendono e condividono le scelte di Cooper a proposito del film (e non solo sul naso). Prima di qualunque disamina della faccenda è doverosa una premessa: è vero che fra ebrei capita di riconoscersi a vicenda, magari su una spiaggia, in un aeroporto o per strada, anche se non ci si conosce e si vive in emisferi opposti: non è una questione di genetica ma di destini millenari in comune e di quella parentela estesa che è il senso stesso di appartenenza a un piccolo popolo, che è quasi come una grande famiglia dove ci si ama e ci si detesta, ci si accusa e ci si protegge. Ma il naso proprio no. Il naso non è uno di quei tratti somatici (e del resto in questa familiarità giocano non tanto quelli quanto i gesti, gli sguardi, l'inflessione della voce) grazie ai quali gli ebrei si riconoscono fra di loro. Il famigerato naso adunco, quello che tanta fortuna ha avuto nella vignettistica e nella pseudoscienza razzista, non rientra nei canoni della (auto)raffigurazione ebraica. Come quando qualcuno, magari per farti un complimento, ti dice: «ah, voi ebrei siete più intelligenti» e subito ti viene in mente una carrellata di correligionari decisamente sotto la media in quanto a QI, così il naso ebraico è un'invenzione bell'e buona. Ce ne sono di aquilini e francesi, pronunciati e irrilevanti, belli e brutti. Per questo la polemica sul naso di Bradley Cooper interprete di Leonard Bernstein pare davvero una questione di lana caprina, anzi una falsa questione. Per più di un motivo. Il primo è che, per l'appunto, il naso ebraico non esiste in quanto tale - esiste, cioè, un numero di nasi ebraici diversi pari al numero di chi li porta in mezzo alla faccia -, inoltre è innegabile che Leonard Bernstein, uomo affascinante per mille ragioni diverse, non ultima la sua faccia, fosse dotato di un naso inconfutabilmente importante. Che tutto il resto fosse, in Leonard Bernstein, altrettanto inconfutabilmente ebraico, ha poco o nulla a che fare con la misura del suo naso. Ciò detto, Bradley Cooper, attore innegabilmente dotato e uomo di innegabile fascino anche lui, ha tutto il diritto di ritoccarsi il naso per entrare nella parte senza per questo dover chiamare in causa intendimenti denigratori o allusioni a presunti tratti somatici frutto di tossici stereotipi. La domanda che s'impone è: a che pro? A che pro questo polverone sul naso di Cooper (finto) e quello di Bernstein (vero), questo inutile stigma contro una presunta scorrettezza se non politica forse etnica? Non ha senso alcuno. Meno senso ancora ha l'insinuare che, non essendo ebreo, Bradley Cooper non sia titolato a interpretare un personaggio di quella parrocchia (come si dice in gergo fra, per l'appunto, ebrei). È un po' come la storia di qualche tempo fa sui traduttori della giovane poetessa afroamericana Amanda Gorman, respinti perché con un profilo biografico non analogo al suo - quando il lavoro di traduzione, al pari della recitazione, è sempre un confronto, un corpo a corpo con l'altro da sé. Recitare, così come tradurre, suonare uno strumento ma anche leggere e guardare un film, significa prima di tutto provare a immedesimarsi, mettersi nei panni di qualcuno che tu non sei né mai sarai. Questa è l'essenza salutare dell'esperienza che l'arte ti fa vivere sia attraverso l'atto creativo sia nella sua fruizione: verrebbe quasi da dire, dunque, che Bradley Cooper può interpretare Leonard Bernstein proprio perché non è ebreo e non condivide il suo vissuto né il suo stesso universo di emozioni, convinzioni, speranze, paure, ambizioni. Proprio perché non è lui, può interpretarlo sullo schermo. Storcere il naso (vero o finto che sia) armati dalla certezza che solo un ebreo possa diventare un personaggio ebreo - e lo stesso dovrebbe allora valere per tutte le etnie, fedi religiose, esperienze storiche - significa avere un'idea molto prosaica, anzi mediocre tanto dell'arte quanto delle potenzialità umane in senso lato.
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