L’Ucraina come la Spagna del ‘36 Analisi di Gianluca Di Feo
Testata: La Repubblica Data: 14 agosto 2023 Pagina: 15 Autore: Gianluca Di Feo Titolo: «Ucraina, un laboratorio per testare nuove armi. Come la Spagna nel ’36»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 14/08/2023, a pag. 15, con il titolo "Ucraina, un laboratorio per testare nuove armi. Come la Spagna nel ’36" l'analisi di Gianluca Di Feo.
Gianluca Di Feo
Le rovine di Guernica come quelle di Bakhmut, la battaglia del fiume Ebro come quella del Dnipro. C’è un sinistro parallelismo tra i combattimenti in corso in Ucraina e la guerra spagnola del 1936, che non nasce solo dall’identico scontro tra democrazia e dittatura. Oggi come allora, il conflitto viene analizzato da generali e industrie come il laboratorio delle armi del futuro, cercando di capire quali saranno gli strumenti che decideranno la prossima sfida tra superpotenze: il terreno dove cinicamente testare le innovazioni e fare tesoro dei risultati in vista del temuto confronto con la Cina nello scacchiere dell’Indo-Pacifico. In Spagna italiani e tedeschi schierarono gli aerei, i cannoni e i tank più avanzati per sostenere i falangisti mentre francesi e soprattutto sovietici fecero lo stesso per aiutare i repubblicani. Mezzi che non determinarono la vittoria, perché gli eserciti si sono affrontati con arsenali molto tradizionali, un po’ come accade oggi con le lotte all’ultimo sangue nelle trincee dell’Ucraina. Gli Stukas della Legione Condor, i Savoia Marchetti dei volontari fascisti, i Polikarpov dei consiglieri bolscevichi servirono agli alti comandi di Hitler, Mussolini e Stalin per orientare le scelte belliche. Tutti ne trassero lezioni sbagliate. I nostri aviatori, ad esempio, si convinsero che i biplani erano ancora competitivi, affrontando con caccia antiquati Hurricane e Spitfire britannici nei cieli della Libia. I russi ritennero che i carri armati pesanti dovessero accompagnare le fanterie e non agire in divisioni corazzate autonome, subendo nel 1941 l’affondo delle panzerdivision germaniche. E la distruzione di Guernica, così cruenta da ispirare il quadro di Picasso, illuse Berlino sulle prestazioni dei bombardieri bimotori, che poi si dimostrarono incapaci di piegare Londra. Un fallimento nell’interpretare le informazioni che ha condizionato l’esito del secondo conflitto mondiale, sintetizzato dall’asso della Luftwaffe Adold Galland: «Quella guerra non ci ha dato l’esperienza che sarebbe stata necessaria né ci ha permesso di formulare nuove strategie». E l’Ucraina? Gli Stati maggiori e i manager dell’industria militare cercano di fare incetta dei rapporti che arrivano dal fronte, attingendo aqualsiasi fonte, ufficiale o di intelligence. Dai tempi del Vietnam non c’era più stato un duello tra eserciti moderni e ogni episodio viene esaminato fin nei minimi dettagli. Sull’assalto degli elicotteri russi all’aeroporto di Hostomel, la manovra che ha segnato l’inizio dell’invasione, circolano già decine di studi che valutano azioni e reazioni. I report più ambiti sono quelli che giudicano l’efficacia dei sistemi hi-tech: valgono oro e si dice che esista un vero mercato parallelo, perché sono la base per impostare le macchine belliche della prossima generazione. I dibattiti tra esperti sul ruolo dei tank o dell’artiglieria sono secondari: i Leopard 2 mandati al massacro nei campi di girasole e persino i droni solitari lanciati su Mosca appartengono già al passato. L’interesse è concentrato sull’individuare i veri protagonisti delle battaglie, quelli che sono destinati a cambiare i rapporti di forza negli anni a venire. Quali? Poche sono le certezze. La prima riguarda gli apparati da guerra elettromagnetica: “cannoni di impulsi” che oscurano radar e radio, si infiltrano nelle comunicazioni, spengono i telecomandi dei droni, azzerano le coordinate gps che guidano i missili. Strumenti che l’Occidente considerava utili per aerei e navi mentre i russi li impiegano in larga scala nelle operazioni dell’esercito: ne hanno schierato uno ogni due chilometri di fronte. Comprendere quanto stiano condizionando gli scontri e inventare contromisure è diventato vitale per la Nato ma lo è altrettanto per la Cina. La seconda lezione rappresenta l’incarnazione della fantascienza più angosciante: le loitering munition, più spesso chiamate droni kamikaze, che restano in volo finché non scoprono l’obiettivo e lo distruggono. Hanno rivoluzionato le regole della balistica rimaste in vigore dall’esordio della polvere da sparo, perché l’uomo non deve aspettare di trovare il bersaglio per tirare il grilletto e non ha bisogno di esporsi: può restare nascosto e controllare la situazione su una console o uno smartphone, limitandosi a spingere un tasto per colpire. I droni kamikaze si stanno diffondendo rapidamente in Ucraina, in aria e pure in mare, e tutti i Paesi vogliono produrli: i più semplici – come gli Shahed iraniani – costano poche migliaia di euro. La loro evoluzione, però, ci porta nella nuova era che già sta sorgendo nei campi di battaglia del Donbass e del Dnepr: il dominio dell’intelligenza artificiale. Applicata ai droni kamikaze, concretizza l’arma finale che non avrà bisogno degli esseri umani: una volta indicato il bersaglio, le macchine agiranno da sole e in squadra, scambiando informazioni tra loro e sincronizzando le manovre per portare a termine la missione. Le aziende hi-tech stanno aprendo filiali in Ucraina, incentivate dal governo Zelensky, per creare i cervelli elettronici dei robot killer e sperimentarli subito in azione: il rodaggio quasi a chilometro zero. Pure Erich Schmidt, l’ex boss di Google, ha investito in un una start up militare di Kiev e ha scritto senza mezzi termini: «Il futuro della guerra sono gli sciami di droni dotati di Ai». Un domani carico di interrogativi, perché nessuno è ancora riuscito a dare dei limiti all’intelligenza artificiale.
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