Iran, continua la lotta contro il velo Analisi di Gabriella Colarusso
Testata: La Repubblica Data: 13 agosto 2023 Pagina: 15 Autore: Gabriella Colarusso Titolo: «In ufficio senza velo. Iran, la lotta riparte dalle aziende hi-tech»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/08/2023, a pag.15, con il titolo "In ufficio senza velo. Iran, la lotta riparte dalle aziende hi-tech", la cronaca di Gabriella Colarusso.
Gabriella Colarusso
Oggi un tassista di Teheran che accetta di far salire in auto una donna senza velo rischia di pagare una multa. Un commerciante che serve una ragazza con i capelli scoperti può ritrovarsi con il negozio chiuso. Un produttore cinematografico che consente a una videomaker di girare senza hijab potrebbe non vedere la fine del film. Per alcuni mesi, dopo le grandi proteste pro-democrazia seguite alla morte di Mahsa Amini, sembrava che il governo iraniano volesse allentare il controllo sulle donne per far sbollire la rabbia: la polizia morale è sparita dalle strade e i caffè si sono riempiti di ragazze senza velo, più di quante ce ne fossero prima delle rivolte. Ma l’attenzione internazionale sul movimento è scemata, in Iran si avvicina il primo anniversario della morte di Amini e la prossima primavera ci saranno le elezioni per il Parlamento: gli ultraconservatori vogliono superare l’appuntamento senza nuove proteste, e arrivare saldi al prossimo voto. «Metteremo fine a questa assenza di hijab», ha promesso il presidente Ebrahim Raisi. La caccia alle ribelli si è fatta dunque di nuovo serrata, ma sono cambiati gli obiettivi e la strategia. Qualche giorno fa è finita sui social una foto di gruppo scattata negli uffici di Digikala, gigante del commercio online, per gli iraniani una sorta di Amazon locale. Due ragazze nella foto non indossavano il velo: poche ore dopo la polizia è entrata negli uffici e ha fatto chiudere “temporaneamente” la sede della società a Teheran. L’episodio ha avuto un effetto a catena. Altre foto, altre chiusure temporanee, della libreria online Taghcheh e di Azki, una app di assicurazioni. In questa battaglia culturale e generazionale che l’anziano clero al potere teme di non poter vincere, le società tecnologiche sono la prima linea del fronte. Cresciute una decina di anni fa con la liberalizzazione dell’accesso a Internet sotto la presidenza del moderato Rouhani, rappresentano uno dei settori più liberali del Paese. «L’Iran è isolato, le persone che lavorano nel mondo tech sono le più connesse con il resto del mondo», dice Amir Rashidi, ricercatore esperto di cybersicurezza e sviluppo digitale. «Il governo le accusa di voler promuovere i valori occidentali e di voler cambiare lo stile di vita degli iraniani». C’è anche un’altra ragione: lacomunità tech è stata tra le più attive nella difesa dei manifestanti, garantendo le connessioni e il flusso di informazioni grazie ai Vpn, le reti private virtuali anti-censura. Ma la strategia del governo non si ferma alle big tech, coinvolge tutto il settore produttivo: bar, caffè, ristoranti, negozi, uffici pubblici, industria del divertimento. A Lahaijan, la Asl locale ha ordinato agli ospedali di non servire donne con i capelli scoperti. A Damavand, a Est di Teheran, un direttore di banca e un cassiere sono stati arrestati per aver assistito una donna che non indossava l’hijab. «Se sei un tassista o un commerciante e vedi una ragazza senza velo devidenunciarlo, vogliono mettere le persone una contro l’altra», dice Rashidi. Una strategia della delazio ne che si innesta con l’utilizzo di tecnologie per la sorveglianza importate dalla Cina. Tra aprile e giugno sono stati inviati un milione di sms a proprietari di automobili in tutto l’Iran perchéle telecamere disseminate per strada hanno fotografato a bordo donne senza velo. Ora il Parlamento sta discutendo un nuovo disegno di legge che prevede sanzioni più severe per le ribelli, e multe per le imprese che consentono la violazione del sacro hijab, il muro di Berlino della Repubblica Islamica.
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