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Gli Stati Uniti e la crisi nel Sahel Analisi di Antonio Donno
L’11 settembre 2001 determinò la decisione americana di combattere il terrorismo jihadista a livello internazionale, secondo la formula “global war of terror”. La guerra in Iraq e la caduta di Saddam Hussein rappresentò l’acme dell’impegno americano nella lotta agli Stati promotori del terrorismo, senza escludere il pericolo che scaturiva dai failed States, nei quali il jihadismo aveva mano libera nel condurre le proprie azioni terroristiche. Ma, con l’avvento alla Casa Bianca di Barak Obama, questo impegno declinò progressivamente sino a estinguersi del tutto. Ciò che sta accadendo nel Sahel africano dimostra che il fallimento a catena di alcuni Stati costituisce un pericolo crescente verso la stabilità dell’intero continente africano.
Il colpo di Stato in Niger, le crisi politiche negli Stati africani del Sahel, la presenza sempre più radicata della Russia nella regione, la crisi verticale della politica francese maturata negli anni di errata gestione degli interessi di Parigi nell’area subsahariana sono tutti fattori che creano uno squilibrio potenzialmente portatore di crisi politiche in altre regioni del continente. Qual è oggi il ruolo degli Stati Uniti nei territori del Sahel in profonda crisi politica? Biden ha proseguito di fatto la politica obamiana di ritiro americano dalle regioni dello scacchiere internazionale dove è presente una crisi ultradecennale nelle relazioni tra gli Stati, come nel caso del Medio Oriente, o dove l’autorità statale è crollata, lascando campo libero all’attività delle formazioni jihadiste: il caso degli Stati del Sahel né è, appunto, l’esempio eclatante. In realtà, Washington ha una base ad Agadez, nel Niger, con più di mille effettivi, ma da lì nessuna reazione è venuta di fronte agli accadimenti degli ultimi tempi nel Sahel.
In realtà, la presenza-assenza degli Stati nella regione africana del Sahel è il segno di un disinteresse di Washington verso parti del sistema politico internazionale che sono giudicate non confacenti agli interessi americani, per quanto il Niger sia ricco di uranio e, insieme agli altri paesi del Sahel, di materie prime che interessano invece la Russia e la Cina. La politica internazionale degli Stati Uniti è concentrata soprattutto sulle questioni relative ai rapporti con la Russia e la Cina, oltre che sulla situazione complessiva dell’Indo-Pacifico. Questa scelta riguarda, a ben vedere, tutto il continente africano, nel quale gli interessi delle due potenze asiatiche si estendono a macchia d’olio, sia nel campo dell’acquisizione delle materie prime, sia in quello dell’approvvigionamento di armamenti ai regimi al potere. Ora questi ultimi sono strettamente legati a Russia e Cina. Ancora più allarmante è la situazione degli Stati africani che si affacciano sul Mediterraneo meridionale, il Maghreb, dove alcune realtà politiche sono in crisi: la Libia ormai da tempo e la stessa Tunisia, la cui crisi politico-economica si fa sempre più acuta. In quest’ultimo caso, l’Unione Europea sembra impotente, nonostante che il paese africano, al pari della Libia, ricopra una posizione molto importante nel Mediterraneo, dove la presenza politica di Cina e, in misura minore, della Russia si fa sentire.
La crisi degli Stati del Sahel incombe ai confini meridionali degli Stati del Maghreb. Le formazioni jihadiste spesso varcano i confini predando ciò che di utile incontrano, ma per ora non rappresentano un pericolo. Il problema vero è che l’assenza degli Stati Uniti nei punti nevralgici del Mediterraneo, a differenza del ruolo fondamentale ricoperto da Washington negli anni della guerra fredda, lascia campo libero a Russia e Cina, oltre che alla Turchia, che si è collocata in alcuni settori della Libia, dopo il crollo del potere centrale. L’Unione Europea non è in grado di supplire alla mancanza di autorità politica degli Stati Uniti nel Mediterraneo.
L’assenza sostanziale degli Stati Uniti dal continente africano rappresenta un fattore di spostamento, o di sostituzione in alcuni casi, dell’equilibrio politico internazionale in una direzione inversa rispetto agli anni del secondo dopoguerra, anni in cui l’autorità politico-strategica degli Stati Uniti, che si espandeva in ogni direzione, costituiva un baluardo potente, anche dal punto di vista culturale, nei confronti della minaccia totalitaria.
Antonio Donno |
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