L’Unesco complice dei palestinesi nel cancellare la storia ebraica in Terra d’Israele
Editoriale del Jerusalem Post, da Israele.net
“Giosuè combatté a Gerico e le mura caddero giù”, come recita la famosissima canzone che rievoca il racconto biblico. Ora i muri potrebbero tornare in piedi, se non per gli antichi israeliti almeno per gli israeliani di oggi. E mentre il popolo d’Israele suonava le trombe (shofar, il corno d’ariete), i palestinesi di oggi danno fiato alle trombonate della propaganda quando si tratta dell’antica città e di altri siti storici nella culla stessa della civiltà ebraica. Come ha segnalato Tovah Lazaroff sul Jerusalem Post, il Comitato dell’Unesco per il Patrimonio Mondiale dell’Umanità ha in programma di nominare il sito dell’antica Gerico come appartenente allo “Stato di Palestina” (che definisce se stesso arabo e musulmano ndr). Il sito oggi è un parco archeologico situato presso la città moderna che porta ancora il nome biblico. Gerico è uno dei 53 siti naturali e culturali su cui voterà il Comitato per il Patrimonio Mondiale quando a settembre si riunirà in Arabia Saudita. Nella sua proposta all’Unesco, l’Autorità Palestinese ha scritto: “La lunga e variegata vicenda di Gerico racconta l’indiscussa storia di 10mila anni di civiltà umana: è stata testimone di alcune delle pietre miliari culturali più significative della storia umana, è una delle città più antiche della Terra e non ha eguali in tutta la storia dell’umanità. Gerico è un esempio unico di ben documentati insediamenti di diversi stadi di sviluppo della civiltà umana”. Si noti quale parte manca della “storia indiscussa” di Gerico: la parte che la collega agli ebrei, migliaia di anni fa. L’Unesco ha riconosciuto lo “Stato di Palestina” nel 2011 e sia gli Stati Uniti che Israele sospesero il versamento delle quote annuali all’organismo. Nel 2019, entrambi i paesi si sono ritirati dall’organizzazione per protesta contro il suo persistente pregiudizio anti-israeliano. Il mese scorso, gli Stati Uniti vi sono rientrati, nonostante una legge che vieta a Washington di finanziare istituzioni che riconoscono stati che non soddisfano gli standard internazionali di statualità, tra i quali lo “Stato di Palestina”. Il pregiudizio delle Nazioni Unite contro Israele è intrinseco. I palestinesi non hanno bisogno di argomentare sulla base dei fatti e del merito di ogni questione giacché possono contare sul sostegno di una maggioranza automatica.
Altri tre siti in Giudea e Samaria (Cisgiordania) sono elencati dall’Unesco come appartenenti allo “Stato di Palestina”: la Chiesa della Natività a Betlemme; gli antichi terrazzamenti agricoli di Battir (Beitar), dove Bar Kochba guidò la sua ultima resistenza ebraica contro i Romani nel 135 e.v., e la Città Vecchia di Hebron, compresa la Tomba dei Patriarchi. Proprio così: l’area che, secondo la Bibbia, Abramo acquistò come luogo di sepoltura (e come tale venerato dagli ebrei da millenni) è ora, secondo l’Unesco, nella migliore delle ipotesi “territorio palestinese occupato”. Inoltre, la Città Vecchia di Gerusalemme è elencata come un “sito storico a rischio” registrato in Giordania, e l’Unesco fa regolarmente riferimento al Monte del Tempio e al Muro Occidentale – il sito più sacro dell’ebraismo e la parte del suo muro di contenimento che ne rimane, venerata da millenni dagli ebrei di tutto il mondo – esclusivamente con i termini islamici di al-Haram al-Sharif ed al-Buraq. Non basta. L’Autorità Palestinese ha inoltrato domanda affinché il Comitato Unesco per il Patrimonio Mondiale riconosca in futuro altri 13 siti. Tra questi Sebaste (Sebastia), la capitale dell’antico Regno settentrionale d’Israele, fatta edificare dal re israelita Omri nell’879 a.e.v. Ma non aspettatevi di trovare un qualunque riferimento all’antico Israele o al popolo ebraico. Il sito della Convenzione per il Patrimonio Mondiale dell’Unesco lo descrive così: “Sebastia, identificata con l’antica Samaria, è la capitale del regno settentrionale [sic] durante la seconda età del ferro in Palestina [sic] e un importante centro urbano durante il periodo ellenistico e romano”. I palestinesi stanno anche tentando di rivendicare le grotte di Qumran, nel deserto della Giudea, dove nel 1946 furono scoperti i Rotoli del Mar Morto, antichi manoscritti religiosi ebraici di ineguagliabile importanza. La linea di tendenza è evidente: i legami ebraici (e cristiani) con questa terra vengono sistematicamente cancellati con l’imprimatur di un organismo delle Nazioni Unite: questo a proposito di tutela e conservazione della cultura. La battaglia di Giosuè a Gerico è storia antica, ma c’è un’importante battaglia da combattere oggi: opporsi alla rimozione della storia ebraica e alla sua sostituzione con la narrazione palestinese, nell’Unesco e altrove nell’arena internazionale. Il segretario di stato americano Antony Blinken ha giustificato il rientro nell’Unesco del suo paese sostenendo che ciò consentirà agli Stati Uniti di combattere più efficacemente i pregiudizi anti-israeliani all’interno dell’organizzazione. Ora questa affermazione verrà messa alla prova. Gli Stati Uniti e gli altri alleati di Israele respingeranno gli sforzi palestinesi volti a cancellare i legami del popolo ebraico con la sua patria?
(Da: Jerusalem Post, 2.8.23)