Israele, c’è solo una persona che può fermare questo treno in corsa Editoriale del Jerusalem Post, da Israele.net
Testata: israele.net Data: 25 luglio 2023 Pagina: 1 Autore: la redazione di Israele.net Titolo: «C’è solo una persona che può fermare questo treno in corsa»
C’è solo una persona che può fermare questo treno in corsa
Editoriale del Jerusalem Post, da Israele.net
È divertente, e sarebbe ancora più divertente se non fosse così terrificante. Stiamo parlando di uno sketch di due anni fa della trasmissione satirica israeliana Eretz Nehederet, riemerso in questi giorni come un video virale visualizzato da diversi milioni di persone. Nella preveggente clip realizzata molto prima che vedesse la luce l’attuale contestatissimo disegno di riforma giudiziaria, l’attore Assi Cohen, interpretando il suo saccente personaggio Shauli, proponeva il rimedio perfetto per i mali del paese: la guerra civile. “Ci odiamo tutti – dice nell’impietosa gag satirica – e il paese ha bisogno di una guerra civile: ashkenaziti contro mizrahi, sinistra contro destra, ultra-ortodossi contro laici”. E aggiungeva beffardamente che gli arabi potevano starsene in disparte per poi vedersela con chiunque fosse prevalso nella battaglia ebreo contro ebreo. Ogni buona battuta, per quanto caricaturale, contiene un elemento di verità: le profonde divisioni nella società israeliana non sono una novità, e certamente non sono iniziate con i piani di riforma giudiziaria promossi da questo governo. Tuttavia, né Cohen né i brillanti autori dello show sospettavano minimamente che presto Israele sarebbe sembrato avvicinarsi davvero a quella “guerra di fratelli”, come viene chiamata in ebraico. Il divisivo pacchetto di riforme che il governo ha proposto all’inizio del suo mandato e che ha continuato a portare avanti in modo frenetico – a dispetto degli sporadici tentativi di trattare una formula di compromesso con l’opposizione, e nonostante le proteste sempre più accese con cui viene contestato da più di sei mesi – sta costantemente alzando la temperatura dello scontro verso un punto di ebollizione sia all’interno del paese, sia nei legami di Israele con i suoi più stretti amici e alleati, primi fra tutti gli Stati Uniti. il presidente Joe Biden era così preoccupato per la lettura data dall’ufficio del primo ministro israeliano della recente telefonata tra Biden e Benjamin Netanyahu – secondo quella sintesi, il disegno di legge per limitare il controllo giudiziario sulle decisioni governative sarebbe comunque andato avanti, seppure con un tentativo di ottenere più ampio sostegno pubblico allo scopo di proseguire l’iter legislativo anche durante la pausa estiva – tanto che il giorno successivo ha chiamato il giornalista del New York Times Thomas Friedman e ha dichiarato in modo inequivocabile che a suo parere Netanyahu deve fermare adesso l’iter legislativo e poi cercare un ampio consenso e un compromesso. Tra le righe, il messaggio era che i consolidati rapporti tra Israele e Stati Uniti si basano su valori condivisi, e se lo stato ebraico approva leggi percepite come una decurtazione delle sue garanzie e tradizioni democratiche, ciò potrebbe avere un serio impatto sul sostegno dell’America. Una frattura che appare estremamente preoccupante, ma mai quanto ciò che sta accadendo all’interno di Israele. Le proteste contro le riforme continuano a crescere e ad allargarsi, e la reazione della polizia alle manifestazioni più irruente si fa sempre più aggressiva di settimana in settimana. Sembra chiaro che è in arrivo un punto di collisione, per cui è veramente tempo che il governo, e in particolare Netanyahu, faccia qualcosa al riguardo prima che sia troppo tardi. Come ha scritto Eliav Breuer venerdì scorso sul Jerusalem Post, i campi pro- e anti-riforma giudiziaria sono ai ferri corti e ormai manca pochissimo tempo prima venga approvato, lunedì pomeriggio, il controverso disegno di legge sulla clausola della “ragionevolezza”. C’è solo una persona che può fermare questo treno in corsa. È tempo che Netanyahu riprenda in mano il timone della nave allo sbando e dica “basta”. Per il bene del paese, e per evitare che la crisi in cui ci troviamo si aggravi ulteriormente, il primo ministro dovrebbe sospendere l’iter legislativo e invitare immediatamente al dialogo i vertici dell’opposizione. Come ha detto a Biden nella loro telefonata, per una riforma come quella giudiziaria è necessario un ampio sostegno. Perché, allora, spingere a tutta forza verso il voto del disegno di legge sulla ragionevolezza quando l’ampio consenso non c’è? Nel suo discorso alla nazione di giovedì sera, Netanyahu ha fatto capire di esser consapevole che la maggioranza (i sostenitori della coalizione non perdono occasione per ricordare che loro sono la maggioranza, sebbene oggi questo sia tutt’altro che certo) ha la responsabilità di ascoltare la consistente minoranza e riconoscerne i diritti. Ma la democrazia non si riduce semplicemente al governo della maggioranza, specialmente quando sono in ballo questioni cruciali come una riforma giudiziaria che tocca gli equilibri stessi delle istituzioni di garanzia del paese. Gli alleati di Netanyahu nella coalizione devono rendersi conto che le loro smanie di riforme globali si tradurranno in una piccola vittoria per loro, ma in una potenziale calamità per l’intero paese. Se non vogliamo che la visione di una guerra civile della macchietta Shauli di Eretz Nehederet si trasformi in realtà, allora Netanyahu deve agire ora. Giacché ora ha la possibilità di siglare il suo retaggio come quello dell’uomo che ha evitato a Israele il baratro. Oppure che non l’ha fatto.