Israele, la maggioranza del Paese è contro la riforma Commento di Meir Ouziel
Testata: La Repubblica Data: 25 luglio 2023 Pagina: 12 Autore: Meir Ouziel Titolo: «Una maggioranza silenziosa chiede il compromesso per non spaccare il Paese»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 25/07/2023, a pag. 12, con il titolo "Una maggioranza silenziosa chiede il compromesso per non spaccare il Paese" il commento di Meir Ouziel.
Meir Ouziel
Benjamin Netanyahu
La situazione interna in Israele è lacerante. Da gennaio si tengono ogni settimana manifestazioni contro la riforma giudiziaria, causando danni in diversi settori della vita del Paese. Dall’altra parte ci sono molti israeliani, persino tra chi non è un sostenitore del premier Netanyahu, che si oppongono alla minaccia di distruzione dell’economia, dell’esercito e della stessa democrazia israeliana che porta avanti il popolo delle manifestazioni. Molti chiedono che si raggiunga un accordo. Una delle voci di spicco attive nella ricerca di un compromesso è Yuval Elbashan, professore di diritto, uomo della sinistra che, insieme all’ex ministro della Giustizia, Daniel Friedman, ha redatto una proposta di compromesso che nei mesi scorsi fu quasi accettata nei negoziati. Elbashan nei giorni scorsi ha ridiscusso la proposta durante il dibattito nella commissione Affari costituzionali della Knesset. «Del piano avevano già discusso in Commissione, erano stati raggiunti accordi, e poi a causa di problemi politici all’interno della Commissione per la nomina dei giudici, i negoziati sono stati interrotti, proseguendo solo informalmente », ci dice Elbashan. «La cosa triste è che si erano trovati accordi quasi su ogni punto della riforma. Poi, come succede sempre quando ad avere la meglio sono i fanatici da ogni parte, è andato tutto in fumo: una parte dell’opposizione al governo ha rifiutato tutto. Come reazione, i rappresentanti della coalizione, pressati anche dall’elettorato, hanno detto: “se comunque non riusciamo a ottenere un compromesso, torniamo alla proposta originaria”. Devo riconoscere che ai rappresentanti del governo la proposta di mediazione non piaceva troppo, ma erano disposti a inghiottire il rospo per un compromesso di ampie intese. Ora però tutto si è ridotto a un gioco di forza tra i fanatici di ogni parte, in questa Masada moderna». Il richiamo a Masada - la fortezza che fu l’ultimo baluardo della resistenza giudaica ai Romani, dove nel 73 d.C. i leader zeloti optarono per il suicidio collettivo piuttosto che cadere nelle mani del nemico – è forte. «Ma penso che, aldilà delle dichiarazioni pubbliche, la tendenza sia di raggiungere un accordo - conclude Elbashan - . Netanyahu è un uomo di compromesso e anche alcuni leader dei partiti di opposizione lo sono». Un’altra figura di spicco che chiede un compromesso è una delle più importanti giornaliste tv israeliane, Ayala Hasson, del canale pubblicoKan 11 .«C’è una drammatizzazione esagerata della proposta di leggeper la riforma del sistema giudiziario”, ci dice. «Sia da parte della coalizione, come se stesse facendo chissà che proposta rivoluzionaria, sia da parte dell’opposizione, come se si trattasse di una legge volta a distruggere la democrazia israeliana. Invece si tratta di una polemica creata ad arte, mentre nel mezzo ci sono tante brave persone che si lasciano ingannare dagli slogan». Il riferimento è agli innumerevoli cartelloni che occupano i principali incroci, con la scritta a caretti cubitali: “Dobbiamo opporci alla dittatura”. Continua Hasson: «Siamo un popolo con la persecuzione nel Dna. La sicurezza è quindi la cosa più importante e per questo sono convinta che un compromesso sia raggiungibile. In questo momento la piazza è trascinata da un gruppo di grande potere e risorse, pieno di livore contro Netanyahu e i suoi elettori. Per raggiungere accordi ci vuole coraggio. La soluzione più semplice per dei leader deboli è rimanere in guerra. È molto più difficile fare accordi». La stragrande maggioranza degli israeliani è a favore di una soluzione di compromesso. La domanda è perché questa voce rimane marginale e prevalgono soltanto le voci estremiste. Ayala Hasson punta il dito contro la sua stessa categoria: «I mass media non fanno sentire queste voci, decidono su cosa puntare i riflettori e su cosa tenerli spenti. E la moderazione non vende». Dice il generale di riserva Amir Avivi, oggi a capo di un movimento di ex ufficiali: «Parlo a nome di ungruppo che conta 18,000 tra ufficiali, soldati e piloti che si occupano della sicurezza di Israele avendo in mente il destino delle generazioni future: siamo tutti uniti nella convinzione che la politica non dovrebbe essere introdotta nelle file dell’esercito e che quanti parlano di rifiuto di prestare servizio, inferiscono un duro colpo al popolo di Israele e alla nostra deterrenza contro i nemici. È un comportamento antidemocratico. Chi usa la sicurezza di Israele a fini politici finirà per essere ricordato non per il grande contributo che ha dato al Paese in passato, ma solo per la vergogna». Tra coloro che esprimono un’opinione simile ci sono anche ex ufficiali come il generale Avigdor Kahalani, che quasi da solo con il suo carro armato fermò l’esercito siriano durante uno dei momenti più drammatici della guerra del Kippur nel 1973. Di recente Kahalani ha detto: «Il rifiuto a prestare servizio è imperdonabile. Il tentativo di piegare un governo con questa minaccia è un tentativo di rivoluzione militare antidemocratica. Da quand’è che ufficiali e soldati dettano al governo quali decisioni politiche prendere? D’altro canto, non credo che queste minacce si realizzeranno all’atto pratico. Se ci dovesse essere ora un attacco su Israele, qualcuno se ne resterà a casa? E come si guarderà allo specchio dopo? Come guarderà negli occhi suo figlio?».
(traduzione di Sharon Nizza)
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