Riforma giudiziaria: quanto è difficile discutere nel merito (che invece è importantissimo)
Analisi di Susan Hattis Rolef, da Israele.net
Susan Hattis Rolef
Nelle scorse settimane ho constatato come di solito la conversazione deragli totalmente quando dei conoscenti che sostengono il governo e la sua riforma giudiziaria mi chiedono se partecipo alle manifestazioni. Io spiego che in linea di principio le sostengo, ma poiché mi sento a disagio nelle grandi folle e un po’ a causa della mia età, in effetti non vi partecipo. Cosa intendo per “deragliare?”. Voglio dire che quei miei conoscenti iniziano subito ad attaccarmi per le azioni e le dichiarazioni dei manifestanti e dei leader dell’opposizione che ritengono deplorevoli, e così succede che non arriviamo mai a dibattere la questione principale, e cioè il motivo per cui così tanti israeliani considerano la riforma un pericolo per la libertà e la democrazia e cosa si possa fare per modificare questa situazione prima che ci esploda fra le mani. L’altro giorno, ad esempio, un conoscente mi ha aggredita perché, secondo lui, durante la giornata nazionale di protesta di martedì 11 luglio i manifestanti che hanno ostruito il traffico sulla strada principale di Kiryat Shmona (nel nord) erano tutti membri di kibbutz e moshav e non abitanti della città, dando così la falsa impressione che la gente di Kiryat Shmona fosse contraria alla riforma giudiziaria. Ha poi accusato i manifestanti (dicendo “voi”) di razzismo contro i mizrahim (ebrei di origine medio-orientale ndr) che costituiscono la maggioranza degli abitanti di Kiryat Shmona. Ho risposto che l’idea della giornata di protesta (replicata martedì 18 luglio ndr) era quella di protestare in tutto il paese contro l’approvazione, in prima lettura, del disegno di legge volto ad abolire il criterio della “irragionevolezza” contro decisioni amministrative del governo che la Corte Suprema consideri appunto “irragionevoli” (o inammissibili). Scopo delle manifestazioni non era quello di far credere che Kiryat Shmona e altre città israeliane a maggioranza di destra si opponessero alla politica del governo. Ho aggiunto che indubbiamente la situazione attuale ha riattizzato ed esacerbato manifestazioni di reciproca acrimonia ashkenazi/mizrahi, ma non è su questo che ruota la crisi nel suo insieme. È solo l’espressione di uno dei tanti problemi irrisolti che esistono nella società israeliana. Ho anche sottolineato che, in reazione al blocco della strada principale di Kiryat Shmona, i sostenitori locali del partito di estrema destra Otzma Yehudit si sono vendicati bloccando l’ingresso a diversi kibbutz nelle vicinanze e gridando slogan razzisti contro i “privilegiati ashkenaziti”, ma senza dire una parola sul merito della riforma. Tutta l’attenzione, in questo momento, dovrebbe essere sulla questione se il progetto di riforma sia soltanto – come afferma il governo – un virtuoso piano teso a migliorare la performance della democrazia israeliana, o sia invece un malevolo piano teso a porre fine alla democrazia liberale israeliana istituendo al suo posto una democrazia illiberale. I sostenitori del governo sostengono che l’opposizione non è realmente preoccupata per le sorti della democrazia ma solo di aver perso il suo “predominio”, per cui continua a rifiutarsi di accettare il risultato delle ultime elezioni. C’è molta ipocrisia in questa argomentazione. In primo luogo, non c’è dubbio che il programma di riforme presentato il 4 gennaio dal ministro della giustizia Yariv Levin non corrisponde ai principi della democrazia liberale: consente l’introduzione di un sistema di governo illiberale irreversibile, che potrebbe facilmente trasformarsi in un sistema autoritario e persino in una dittatura. Inoltre, l’opposizione ha accettato il risultato delle elezioni: ma sostiene che quel risultato non comporta il diritto di alterare il sistema istituzionale di governo del paese e portare al tracollo tutte le premesse fondamentali che sono state finora alla base della vita politica dello stato d’Israele. Non si dimentichi che è stato Benjamin Netanyahu quello che si è rifiutato di accettare i risultati delle elezioni per la 21esima, 22esima, 23esima e 24esima Knesset (portando ripetutamente il paese a elezioni anticipate in meno di quattro anni ndr). I risultati indicavano chiaramente che l’unica formula di governo che poteva portare stabilità, nell’attuale realtà elettorale, era un autentico governo di unità nazionale, non la varietà fraudolenta varata nel maggio 2020 con l’intenzione in partenza di non mantenere gli accordi di rotazione sottoscritti con il partito Bianco-Blu di Benny Gantz. Alla fine, il risultato delle elezioni per la 25esima Knesset ha reso possibile la formazione di un governo tutto di destra, le cui redini sono nelle mani di tre partiti di estrema destra, razzisti e antidemocratici – Sionismo Religioso, Otzma Yehudit e Noam – che Netanyahu ha manovrato perché si candidassero insieme (per superare il quorum ndr). Oggi però, otto mesi dopo quel risultato elettorale, tutti i sondaggi d’opinione mostrano che, se si votasse adesso, la coalizione di governo perderebbe circa 10 seggi alla Knesset, mentre l’attuale opposizione otterrebbe una netta maggioranza anche senza i voti della Lista Araba Congiunta. Non si dimentichi inoltre che, dopo la formazione del “governo del cambiamento” (Bennett-Lapid) a seguito delle elezioni per la 24esima Knesset, Netanyahu e i partiti d’opposizione respinsero la legittimità di quell’esito. Sostenevano che il governo dell’allora primo ministro Naftali Bennett si basava sui voti dati al suo partito Yamina da parte di elettori di destra che avrebbero voluto che aderisse a un governo guidato da Netanyahu, e che inoltre non fosse legittimo un primo ministro il cui partito aveva solo sei seggi alla Knesset. Ma i sondaggi indicano che, votando oggi, i partiti della coalizione perderebbero circa 10 seggi, il che fa pensare che ben 400.000 elettori che lo scorso novembre hanno votato per quei partiti, oggi sono contrari alle sue politiche e voterebbero contro. Pertanto, il primo argomento è a doppio taglio. Può darsi che alcuni elettori di Yamina nel 2021 si siano sentiti raggirati. Ma a quanto pare, anche il Likud e i suoi alleati hanno fuorviato molti dei loro elettori lo scorso novembre. Per quanto riguarda i sei seggi di Yamina nella 24esima Knesset, va ricordato che il sistema parlamentare israeliano (in questo simile a quello italiano ndr) richiede che un primo ministro ottenga il voto di fiducia nel momento in cui viene varato il suo governo, e non che debba essere a capo di un grande partito. E il governo di Bennett, quando venne formato, aveva il sostegno della maggioranza dei parlamentari. Ciò non impedì all’opposizione, durante tutta la 24esima legislatura, di fare letteralmente tutto ciò che era in suo potere per ostacolare il regolare funzionamento della Knesset, boicottando le Commissioni create dalla coalizione e rifiutandosi di insediare Commissioni tradizionalmente presiedute dall’opposizione. Non nego che le scelte politiche dell’attuale opposizione e del movimento di protesta non sono sempre di mio gradimento. A mio parere, la questione forse principale è se l’opposizione e il movimento di protesta debbano essere molto più disponibili a raggiungere con il governo una formula di compromesso sulla riforma legale. Ma ci sono diverse ragioni per cui questo è più facile a dirsi che a farsi. La principale è che Levin e i suoi sostenitori ideologici dichiarano apertamente di rifiutare qualsiasi modifica ai loro disegni di legge che non sia meramente cosmetica. C’è da dubitare che Netanyahu potrà o vorrà metterli in riga, quando si arriverà al dunque. I portavoce della coalizione sostengono che l’opposizione ha dimostrato di non voler raggiungere davvero a un compromesso al tavolo delle trattative in corso sotto l’egida del presidente Isaac Herzog. La verità è che i membri dell’opposizione pongono una sola condizione fondamentale: che il compromesso sia globale e non frammentario, giacché non si fidano che il governo continui le trattative una volta risolte le questioni meno spinose. È il governo che si è rifiutato di accettare questa condizione. E poi, la composizione stessa della squadra negoziale inviata dal governo indica che la coalizione non intende trattare sul serio. La conclusione è che ciò che ormai manca totalmente è la fiducia.
(Da: Jerusalem Post, 17.7.23)
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Sergio Della Pergola
Spiega Sergio Della Pergola che i riservisti che per protesta minacciano di non prestarsi al richiamo periodico sono volontari, ossia hanno la facoltà ma non l’obbligo di prestare servizio. Un serio problema, aggiunge Della Pergola, è che il governo attuale è formato in gran parte da persone che non hanno prestato affatto servizio militare: tutti i ministri ultra-ortodossi, alcune ministre che hanno falsamente dichiarato di essere osservanti e personaggi come Itamar Ben Gvir, che è stato scartato alla leva per precedenti penali ed estremismo ideologico e oggi è ministro per la sicurezza nazionale. A parte il premier Benyamin Netanyahu, capitano nella riserva, e il ministro della difesa Yoav Gallant, generale della riserva, con quale autorità questo governo esige che si presentino al richiamo i volontari riservisti allarmati dalle sue riforme giudiziarie? La cancellazione della clausola di “ragionevolezza”, ad esempio, impedirebbe alla Corte Suprema di bloccare, come ha fatto lo scorso gennaio, la nomina a ministro di Aryeh Deri (del partito Shas), il quale in questo modo potrebbe diventare Ministro del Tesoro nonostante le sue precedenti incriminazioni e condanne per corruzione ed evasione fiscale. Ecco perché tanta gente protesta, conclude Della Pergola.
(Da: israele.net, 18.7.23)